La linea in un tweet, anzi due, in perfetto stile Renzi. All’indomani della direzione in cui ha accettato di affrontare di petto il rapporto fra Pd e governo, in una discussione programmata il 20 di febbraio che assume da subito tutta l’aria dello show-down, il segretario Pd ci torna su, prima di dedicarsi a una diretta online solo su Firenze.

Due cinguettii. Il primo è una risposta al’editorialista di Repubblica Giovanni Valentini, che di buon mattino twitta: «Se Renzi fa un governo con Berlusconi, gli tolgo il voto e anche il saluto». La replica del segretario: «Non rischiamo né voto, né saluto allora». Il secondo è una frase che risponde a tutti quelli, amici e nemici, che gli chiedono di andare al voto. «Siamo a un passo da una riforma storica. Senato, province, legge elettorale, Titolo V. A me conviene votare, ma all’Italia no». Votare non conviene all’Italia, dunque restano due strade: un Letta bis con il pieno ed esplicito del Pd, ovvero l’innominabile «rimpasto» con nuovi ministri dell’area del segretario; oppure l’altrettanto innominabile «staffetta», altro termine primorepubblicano, che indica a Renzi la strada di Palazzo Chigi senza passare per le urne. I «falchi» renziani non sentono ragioni. «Renzi andrà a Palazzo Chigi solo per via elettorale, esclude di sostituire Letta nel corso di questa legislatura», butta là Francesco Nicodemo, responsabile della comunicazione Pd noto per lo stile diplomazia zero. La proposta non dispiace invece almeno a una parte della sinistra Pd. «Non sarebbe uno scandalo», spiega Matteo Orfini a Repubblica.

In realtà ieri Gianni Cuperlo, in una riunione con i suoi, spiega che la strada da lui proposta non è questa. Almeno non necessariamente. «Il governo deve mettere al centro la consapevolezza dei bisogni di chi sta peggio, individuando tutte le possibilità per creare occupazione e redistribuire un po’ di risorse. Letta vuole essere la guida della ripartenza? Indichi gli obiettivi e noi lo seguiremo. C’è un’alternativa? Discutiamone apertamente». Ma quello che non si può fare, spiega a SkyTg24, «è un governo con i nostri ministri ma che non sosteniamo».

Sull’eventualità del voto pesa il macigno della legge elettorale. L’Italicum, anche ammettendo che fosse approvato in tempi stretti, non può prescindere dalla riforma del senato, pena un pasticcio al secondo turno (non a caso la sinistra chiede su questo la «clausola di salvaguardia»). Per questo è difficile immaginare anchedi andare a votare a ottobre. D’altro canto con l’attuale legge elettorale – il proporzionale disegnato dalla sentenza della Consulta – le larghe intese sarebbero un esito quasi obbligato. Un esito che Renzi esclude senza subordinate. Il rebus dunque ha due possibili soluzioni: o la famigerata staffetta, che però rappresenterebbe la fine del renzismo rottamatore; o un rilancio del governo Letta.

Qui però entra in gioco la variabile Letta. Ieri è volato a Sochi, alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Chi ci ha parlato in queste ore lo descrive sfiduciato e molto irritato con Renzi. Il suo discorso in direzione a molti è sembrato debole e rinunciatario. «Mi aspettavo che ieri prendesse di petto la situazione, indicasse gli obiettivi programmatici di questa fase e la strada per ridefinire il profilo dell’esecutivo. Non è accaduto», ammette Cuperlo. «Letta deve provare a guidare questo passaggio difficile. Andare avanti così, con un finto accordo, non può», insiste Stefano Fassina. «Tutte le strade che abbiamo davanti sono rischiose. Ma per il paese il rischio più forte è la continuità inerziale».

«Delle riforme c’è bisogno, la legge elettorale è anche un segnale che la politica si muove. Andare al voto ora fermerebbe questo treno», ragiona Silvia Velo, area ’turca’. «Ma soprattutto rallenterebbe le risposte alla crisi sociale e industriale, che servono immediatamente. Invece questo governo si muove in continuità con le politiche del rigore. Ad esempio: non ha senso riversare i sei miliardi di euro che deriveranno dalle privatizzazioni nel mare del debito. Vanno invece investiti in sviluppo: banda larga, housing sociale e dissesto idrogeologico, dove possono fare la differenza». Una scelta che però, allo stato, il governo Letta non può, forse neanche intende fare.