E così Renzi, avrebbe cancellato il precariato nella scuola. L’assunzione di 55 mila docenti precari nella «fase C» (complessivamente sono 102 mila) ieri ha prodotto un sussulto in tutto il Pd, galvanizzato al punto da fare la ola attorno alla «lettera ai professori» che il premier ha scritto su facebook: «Basta odioso precariato, le cose sono cambiate» ha dettato Renzi. «Abbiamo fatto solo il nostro dovere, niente di più». E ha aggiunto, rivolgendosi al «precario neoassunto»: «Lo Stato aveva formato Lei e i suoi colleghi per diventare professori. Vi aveva attribuito il diritto di diventarlo. E poi vi ha lasciato per anni nel limbo. Non abbiamo fatto niente di speciale, solo il nostro dovere. Senza la Buona scuola gli insegnanti sarebbero restati per anni, qualcuno per più di un decennio, precari».

Tutto vero. Tranne il fatto che in questo giro di assunzioni non sono stati assunti tutti i precari esistenti nella scuola. E che i precari assunti ieri (in realtà, hanno tempo fino al 19 novembre per accettare l’assunzione) svolgeranno un lavoro completamente diverso dai docenti di ruolo già esistenti. Faranno parte dell’organico «di potenziamento», cioè faranno da «tappabuchi» qualora un collega inquadrato diversamente sarà assente o il preside – al quale la «buona scuola» attribuisce funzioni decisive da «manager» – decida di inaugurare un nuovo piano didattico. In terzo luogo – ed è questo l’elemento più importante – i 102 mila neo-assunti sono, poco più o poco meno, la metà dei docenti precari esistenti in Italia. Quelli con più di 36 mesi di servizio negli ultimi 5 anni che una storica sentenza della Corte di giustizia europea aveva chiesto di assumere. Una sentenza che la «riforma» Renzi-Giannini non ha voluto in nessun modo rispettare.

I 100 mila precari esclusi dall’assunzione oggi dovranno partecipare al concorso a cattedra in arrivo per svuotare le graduatorie ad esaurimento. In tre anni (2016- 2018 si dice che saranno assunte 187-190 mila persone e il bando sarà pubblicato il 1 dicembre. Questi docenti saranno inquadrati secondo le nuove regole del «capitale umano» istituite dalla «Buona scuola»: forza lavoro flessibile alle esigenze dei piani della rete territoriali delle scuole di riferimento e, soprattutto, mobile. Questa è la discontinuità della riforma: un governo neoliberale del personale didattico. Assunti a tempo pieno, ma precariamente inquadrati nelle discipline di insegnamento. Da qui l’esigenza di modificare le classi di concorso nella riforma (i lavori sono in corso): accorpando o modificando i confini disciplinari sarà più semplice gestire il personale secondo le esigenze della governance scolastica. Dunque, Renzi al momento non ha certo risolto il precariato scolastico.

Nei prossimi tre anni la sua riforma intende «precarizzare» la figura del docente che dipenderà direttamente dalla chiamata del preside. Questa è la reale portata della sua riforma. Un «fatto positivo l’immissione in ruolo dei precari – sostiene Domenico Pantaleo (Flc-Cgil) – ma in realtà il governo ha lasciato fuori tutto il personale Ata, 23 mila insegnanti dell’infanzia, le seconde fasce. Tutto viene affidato a meccanismi autoritari come bonus, classifiche e chiamate dirette». «Sarà difficile gestire le fasi successive e il prossimo anno scolastico è a rischio – prevede Pino Turi (Uil Scuola) – a partire dalla mobilità straordinaria che coinvolge centinaia di migliaia di persone e dalla previsione degli ambiti. Era meglio unificare le fasi B e C considerando i docenti con tre anni di servizio, come da noi sostenuto». «Il Pd fa propaganda e la riforma è deleteria per la scuola» sostiene Rino di Meglio (Gilda). Domani sciopero generale dei sindacati di base della scuola.