Matteo Renzi lo dice in premessa: dalla riunione sul Sud non uscirà «la bomba», come invece gli consiglierebbe lo spin Filippo Sensi, non uscirà «una decisione» né delle «conclusioni», solo un «percorso», un appuntamento a un seminario durante la festa nazionale di Milano, il 5 e il 6 settembre, per arrivare ad un altro appuntamento che lanci un «masterplan» per il Mezzogiorno intorno al 15 del mese, prima che parta la discussione sulla legge di stabilità. Che alla fine sarà il vero test per valutare l’attenzione di mezza estate che il governo ha improvvisamente scoperto per il Mezzogiorno.

In concreto altro non esce dalla direzione convocata ieri Al Nazareno, nella canicola di agosto, giusto per camuffare il liberi-tutti per le vacanze in un pugnace attacco al «piagnisteo» di chi denuncia che il Sud è stato abbandonato. Un atteggiamento «di autoassoluzione che non può essere accettato», dice, e ce l’ha con lo scrittore Roberto Saviano, anche se non lo nomina. Se la prende anche con quelli che definisce con disprezzo «i tomi del rapporto Svimez» anche dai governatori del Pd, quelli che certificano che fra il 2000 e il 2013 è cresciuto la metà della Grecia. Non era uno spot in linea con l’ottimismo renziano. E infatti il presidente bacchetta lo studio e chi lo ha commentato, anche fra i suoi ’disfattisti’: «Ti pagano per risolverlo il problema, non per aggiungere noia su noia a un cliché per cui il Mezzogiorno d’Italia è la cosa peggiore che ci sia in Europa. Uno perché non e vero, due perché è un elemento che è anticrescita per definizione».

Così gli amministratori – la riunione è aperta a loro e a tutti i parlamentari -, gli stessi che nei giorni prima confessavano di «non aver neanche gli occhi per piangere» stavolta sfilano al microfono per dichiararsi ottimismo. Persino Michele Emiliano offre un ramoscello di pace, lui che aveva ammesso che il Sud «è fermo a Prodi». Rivela con malizia che prima di parlare gli uomini di Renzi gli hanno chiesto di «essere costruttivo». Ma non ce n’era bisogno, stavolta all’indirizzo di Renzi dice «tu ci devi abbracciare, siamo a disposizione del segretario, di questioni correntizie a non ce ne frega nulla». A patto però di «non essere convocati a bacchetta, abbiamo bisogno di condividere strategia e visione e vedrai di cosa siamo capaci». Sfilano anche ’uomini del Nord’, i ministri Franceschini, Delrio. E Orlando che propone «una delivery unit» di giovani da affiancare agli amministratori del Sud. Il siciliano Crocetta risponde picche: «Non abbiamo bisogno dei soloni di Roma». E a proposito delle tante polemiche che lo riguardano si rivolge dritto a Renzi: «Quello che ti viene riferito, segretario, spesso è sbagliato». Quando tocca al torrenziale presidente campano Vincenzo De Luca lo show è assicurato: rivendica la presenza «di una classe dirigente meridionale non stracciona», se la prende con un giornalista che lo ha criticato in tv (è Peter Gomez del Fatto) «somaro, usurpatore di ossigeno», si sfila dalle polemiche interne, «se qualcuno si aspettava che ci dividessimo sulle questioni del Sud, si disilluda». Ma poi, in mezzo a tante pie intenzioni, una proposta al governo la fa: «Il Sud deve affrontare la sua battaglia dalla trincea del rigore, dell’efficienza, della produttività, non dell’assistenza. I grandi gruppi industriali – Finmeccanica, Fincantieri, Eni, Enel – devono orientare il 60-70 per cento dei loro investimenti al Sud. Se non accadrà, non si muoverà una foglia, queste saranno solo liturgie».

Il tema è serissimo, è quello della politica industriale del governo. E infatti nelle conclusioni Renzi non replica. Replica invece a Roberto Speranza, unico della minoranza interna a parlare. Aveva chiesto «un gruppo di lavoro e una sterzata nelle politiche per il Sud» e ottiene una risposta gelida: «Gruppo di lavoro sì, sterzata no perché vorrebbe dire o che fino a oggi o stavamo fermi o che dobbiamo girare rispetto a una direzione che invece è giusta». E se « qualcuno qui vuole strumentalizza la discussione» sul Sud «a fini interni, questo è un errore clamoroso». Lui «non sottovaluta le ragioni di chi vota la sfiducia» ma non se ne preoccupa: «La maggioranza non è mai mancata e, devo dire, mai mancherà vedendo i numeri». Con o senza unità del Pd. Ma se ne riparlerà in autunno con le riforme, adesso tutti al mare.