Il patto del Nazareno? «Scricchiola… Altroché se scricchiola!». Sembra una battuta quella che Renzi butta lì di fronte ai sindaci riuniti a Fieramilanocity. Invece è una minaccia esplicita. Ed è un quadro realistico della situazione.La risposta di Fi è altrettanto bellicosa. «Se vogliono rompere l’accordo basta dirlo. Il patto lo hanno già cambiato nove volte!».

Senza le bombe d’acqua, quel patto sarebbe forse morto già ieri. Berlusconi si è aggrappato al diluvio per riviare alla settimana prossima l’assemblea dei gruppi parlamentari, quella che dovrebbe decidere sulla risposta all’ultimatum di Renzi: «Legge elettorale subito, come la voglio io, oppure salta tutto».

Renzi, a ogni buon conto, spedisce la fida Boschi a rinverdire l’aut aut: «Mi auguro che Fi mantenga gli impegni, ma in caso contrario noi non potremmo tirarci indietro». Traduzione: ce la votiamo da soli. La risposta arriva a stretto giro, affidata a Brunetta: «Leali e responsabili sì, fessi no». Verdini, in un concitato scambio di battute con Guerini in Transatlantico, è più esplicito: «Basta ricatti». La scelta del termine di Brunetta non è casuale. Quello che è andato storto nel pranzo di giovedì non è tanto questo o quel particolare ma una questione di fiducia. Berlusconi ha avuto la netta sensazione che Renzi miri precisamente a farlo fesso. «Ci vuole fregare», ha spiegato ai suoi. Si è convinto che don Matteo voglia fare il contrario di quel che promette: correre al voto appena incassata la sua legge elettorale.

Poi, certo, ci sono anche i nodi di merito. Il premio di lista non convince Berlusconi, e sulle preferenze la proporzione scelta da palazzo Chigi, 70% di eletti con le preferenze e 30% con il listino bloccato, lo fa imbufalire. Ma questi, in ultima analisi, sarebbero problemi superabili se ci fosse quella fiducia che invece è uscita a brandelli dal pranzo di palazzo Chigi.

Silvio diffida, il suo esercito scalpita per rompere. Sulla carta i giochi dovrebbero quindi essere chiusi. Non è così, sia perché Berlusconi deve tenere conto dei suoi interessi aziendali, sia perché Renzi ha già calato la carta che spera vincente: la minaccia di un accordo con Grillo. Il voto sulla Consulta, ieri, è stato adoperato da tutti per inviare segnali sulla legge elettorale. I dissidenti azzurri hanno falciato l’ennesima candidata per far capire al capo che sono pronti a non seguirlo. Renzi ha imposto la sua candidata con i voti a cinque stelle per far capire al socio che se punta i piedi rischia di brutta.

Ma è davvero possibile che Renzi imponga il suo Italicum a maggioranza o che si accordi con Grillo sulla stessa legge oppure sul Mattarellum? Sì, è possibile, però non facile. Per imporre la legge contando sulla sua risicata maggioranza, che affronterà la questione in apposito vertice la settimana prossima, dovrebbe pagare un conto salato sia alla minoranza Pd, con le preferenze, sia all’Ncd, abbassando di molto la soglia di sbarramento. L’accordo con il M5S renderebbe tutto più facile. In entrambi i casi, però, Renzi dovrebbe ingranare la retromarcia sulla riforma del Senato, che senza il Nazareno è già cadavere. L’Italicum, però, è pensato per un sistema monocamerale. Affondata la riforma del Senato, il pasticcio diventerebbe insanabile. Per questo le minacce di ieri vanno interpretate per quello che sono: uno strumento di pressione per spingere Berlusconi alla resa. Nella speranza che a quel punto il grosso della truppa azzurra segua il suo capo, come è probabile ma non certo.

Se tutto dovesse andare male, a Renzi resterebbe la possibilità di cogliere l’occasione per votare subito, col Consultellum. Le proiezioni dicono che, se ripetesse l’exploit delle europee, avrebbe la maggioranza in entrambe le camere. Lo spauracchio non spaventa i dissidenti azzurri: «E’ il solito bluff – taglia corto Minzolini – quelle proiezioni si basano sul presupposto che il quadro resti immutato e tutte le forze politiche arrivino a identico risultato. Il che è impossibile».