Il «successo di Salvini» inizia «quando si esaspera il tema arrivi dal Mediterraneo e allo stesso tempo si discute lo Ius soli senza avere il coraggio di mettere la fiducia come avevamo fatto sulle unioni civili». Più precisamente quando «nel funesto 2017 abbiamo considerato qualche decina di barche che arrivava in un paese di 60 milioni di abitanti, ‘una minaccia alla democrazia‘» (la citazione è di Marco Minniti, allora ministro dell’interno). In una lettera al quotidiano Repubblica Matteo Renzi attacca l’operato del suo successore Paolo Gentiloni e del ministro Minniti sul delicato tema dell’immigrazione. L’affondo è troppo sfacciato, la ricostruzione troppo lacunosa perché il cauto Nicola Zingaretti possa non replicare. «Renzi era il segretario e rieletto con grande consenso dalle primarie Pd. Faccio fatica a credere che questi temi gli siano sfuggiti di mano», dice, quindi la nuova posizione di Renzi va interpretata «come una severa autocritica». A Zingaretti non sfugge il tentativo di soffiare sulle contraddizioni che attraversano la nuova maggioranza Pd. Per questo chiede al senatore di Scandicci di non «vivere nel passato», come in «un eterno regolamento dei conti che ci isola dalla società».

Nella richiesta di guardare avanti c’è però un’oggettiva difficoltà dell’attuale segreteria. Che da una parte rivendica la discontinuità, dall’altra non può sconfessare i suoi grandi elettori Gentiloni e Minniti. L’ex presidente del consiglio, oggi presidente Pd, è considerato persino in odore di candidatura alle future primarie da premier.

Le parole di Renzi avrebbero il pregio di aprire una discussione di merito sulla linea del nuovo Pd se non fosse così scoperta la strumentalità della tardiva dissociazione. In quel «funesto 2017» Renzi era un fan di Minniti. In rete possono essere recuperate tutte le dichiarazioni di adesione alla linea dura dell’ex ministro che aprì la strada alla messa sotto accusa dell’operato delle Ong nel salvataggio dei naufraghi, a partire dal Codice di autoregolamentazione che molte organizzazioni firmarono solo per non dover lasciare il mare. Tanto più che Renzi, da premier, chiese e ottenne dall’Europa la chiusura dell’operazione Mare Nostrum, una missione di salvataggio dei migranti voluta da Enrico Letta per sostituirla con il programma Triton di Frontex che aveva la filosofia opposta del controllo delle frontiere Ue. Letta non commenta, ma chi gli è vicino ricorda che Mare Nostrum salvò almeno 100mila vite, secondo le stime di diversi organismi internazionali.

Che quella di Renzi sia un cambio di opinione lo riconosce anche Matteo Orfini, primo dem a esprimere dissenso sull’operato di Minniti (che arrivò a ipotizzare la chiusura dei porti, nell’estate del 2017, stoppato dal collega Graziano Delrio). Oggi Orfini plaude al ripensamento: «Sono felice che questa riflessione sia più condivisa anche da chi allora non lo disse», in quel passaggio «ci siamo spostati sulla lettura del fenomeno di Salvini e della destra», «L’idea che l’immigrazione mettesse a rischio la democrazia era sbagliata».

Ma Zingaretti non la pensa così. E se i renzianissimi difendono la svolta di Renzi, il resto del gruppo dirigente esclude una rilettura critica del passato. Lo si vedrà oggi stesso a Montecatini, dove è in corso l’assemblea di Base riformista, la corrente guidata da Lorenzo Guerini. Che del resto voleva Minniti alla guida del partito.