Renzi si è accorto di avere perso più di due milioni di voti in un anno solare. Un contributo a questa sua personale disfatta l’ha data la campagna «Io non voto Pd» diventata popolarissima nella scuola che si oppone ad un Ddl dal nome enfatico, quanto infondato, la «Buona scuola». Per questo ieri, dal palco de «La Repubblica delle idee» a Genova ha ribadito – per la seconda volta – di essere disponibile al «dialogo». «Stiamo discutendo, siamo pronti a ragionare». Quando l’ha detto in un’altra occasione, Renzi ha simulato un dialogo procedendo sulla strada dell’aziendalizzazione e della monocrazia scolastica istituendo il «preside-manager-sindaco» a sua immagine. Nessuno ci ha creduto e lui ha perso due milioni di voti. Il presidente del Consiglio ha ammesso di avere «fatto un capolavoro a farli arrabbiare tutti». Ha aggiunto una subordinata: «Se qualcosa nella comunicazione non ha funzionato, allora è colpa mia». In effetti, presentarsi con i gessetti e la lavagnetta è stato un disastro comunicativo, segno di arroganza. Certi simboli contano con la classe docente. Poi la notizia: «Ci metteremo una settimana in più […] ma la riforma la portiamo a casa». Al Senato i tempi della mediazione sul Ddl dureranno più a lungo. Dal 15 giugno (annunciato) il voto passerebbe al 22. E poi si torna alla Camera.

Il «cronoprogramma» di Renzi ha accumulato ormai due mesi di ritardo. Sono lontanissimi i tempi del ricatto alle camere, quando diede appena 40 giorni per l’approvazione. Doveva essere a fine aprile. Siamo a luglio. Ma Renzi non rinuncia a fare il bullo. Promette «il massimo coinvolgimento» ma dice che «non cederemo a chi dall’alto delle proprie rendite di posizione pensa sia intoccabile». Nella neo-lingua di quello che è stato soprannominato «il chiacchierone di Firenze» (copyright Giampaolo Pansa) questo significa che ai sindacati non concederà nulla. Le «concessioni», in realtà, sarebbero: allungamento della durata dell’incarico al preside manager da tre a sei anni, e poi rotazione. E slittamento di un anno degli «albi territoriali» da cui il preside recluta i docenti. Soluzioni che non sembrano rispondere alle richieste della minoranza Dem che, con Miguel Gotor chiede: stralcio del decreto assunzione dei precari, ampliamento della loro platea, niente chiamata diretta, no ai super-poteri dei presidi e cambio sulle regole della valutazione e sui fondi alle paritarie. Praticamente una riscrittura del Ddl. Le soluzioni ipotizzate dai renziani non intaccano nemmeno le ragioni della protesta che chiede il ritiro o la riscrittura di un provvedimento inemendabile.

Fonti parlamentari smentiscono l’intenzione di Renzi di sostituire i dissidenti Mineo e Tocci dalla commissione Istruzione al Senato, dove il Pd rischia di andare sotto. È anche probabile che tale «dialogo» sulla scuola Renzi lo stia tessendo con Forza Italia, consapevole del fatto che non tutti i 24 dissidenti Pd gli voteranno contro sulla scuola. A luglio c’è il passaggio della revisione costituzionale e il Pd ha bisogno dei voti di Berlusconi per farla passare. Si può benissimo iniziare dalla scuola. Sono tutte ipotesi prodotte dalla genericità delle «aperture» di Renzi. In attesa della direzione Pd, domani inizia lo sciopero degli scrutini. Sarà la protesta più grande dal 1988-89.

Un altro record per il Partito Democratico.