Nel suo studio, nella storica via dell’Orso di Roma, in quella che fu la sede del circolo Virginia Woolf (ha diretto il gruppo B, quello della teoria dell’affidamento, per chi conosce quella storia) e del Circolo della Rosa, Alessandra Bocchetti sta facendo alcune telefonate. La storia di Valentina, la donna costretta ad abortire da sola in un ospedale pieno di medici obiettori, ha già sbiadito il colpo del no al riequilibrio di genere pronunciato la notte di lunedì dalla camera. Bocchetti, un’istituzione del femminismo italiano, quasi la sua autobiografia, esponente del pensiero della differenza, convoca per le sette «quelle che hanno ancora voglia di lottare». Prima però ha scritto un tweet per Matteo Renzi, che pure ha votato alle primarie. «Hai perso pure tu clamorosamente. È stato più forte Berlusconi. È questa la verità del tuo governo?». Iniziamo dalle famigerate quote rosa. «Ma quali quote. 50 e 50», nelle liste, fra i capilista, «non è una quota, è un’idea di governo insieme, uomini e donne. Ha la radice teorica non nell’uguaglianza, ma nella differenza. Significa equilibrio di un paese di uomini e di donne».

Non sarebbe stata una camicia di forza, una scelta troppo normativa?

60 e 40 sono quote. 50 no. Ma certo, una mediazione ci poteva stare. Invece no anche alla mediazione.

Si sapeva, e anche che avrebbero chiesto il voto segreto. Per ottenerlo bastavano 30 deputati, e invece l’hanno chiesto in 46, tanta era la paura.

Renzi giura che assicurerà l’alternananza uomo-donna nelle liste del Pd. Ma non introdurla per legge cos’è: un arretramento, un disvelamento?

Sicuramente è un cedimento a Berlusconi. Il fatto stesso che Renzi non riesca a farla passare dimostra che sta sotto il tacco di Berlusconi. È stato una perdita per tutti, per le donne e per Renzi.

Le donne del Pd si sono rivoltate. La vicenda si riaprirà al senato?

La cosa non finisce qua, è sicuro. La lotta di queste donne insieme ad altre mi è piaciuta molto. Mi ha sorpreso, lo dico con affetto, perché per la prima volta in un’istituzione si è vista una lotta fra gli interessi delle donne e quelli degli uomini. Poi ci sono anche gli alleati delle donne, sempre troppo pochi. Abbiamo assistito a un processo di verità: gli uomini vogliono i voti delle donne, non le donne in parlamento. E fanno di tutto. Anche la furbata di mettere due uomini consecutivi in lista è fatta apposta per far fuori le donne.

Lei ha scritto: «Un governo senza donne oggi è impensabile». Ma dev’essere la legge a imporlo?

Intanto è un altro guadagno del femminismo nel senso comune. Oggi in Europa non si dà governo che si presenti senza donne. E da cosa dipende? Dalla forza delle donne. Fosse per i partiti, ne farebbero a meno.

Non è la politica screditata che chiama le donne per ripulirsi la faccia?

No, neanche se stesse affogando.

Come giudica gli uomini che hanno votato no senza dichiararlo?

Non ci hanno messo la faccia. Un tempo c’era il padre che faceva ordine, e se ti assegnava un posto te lo rispettava. Adesso invece viviamo il patriarcato dei fratelli, dove gli uomini hanno ancora molto potere. Ma tra fratelli tutto è possibile. Tradimenti, sgambetti, non verità. Nonostante la fratellanza sia considerata sentimento rivoluzionario, le donne sanno, perché vivono nella vita pratica, che quello fra i fratelli è un rapporto pericoloso. Può venire anche a mancare il rispetto: perché si è pari.

E poi c’è la relazione fra elette e elettrici, sempre complicata. Secondo lei l’opinione pubblica ha sostenuto la battaglia delle deputate?

Questa è una nota dolente. Io lamento la mancanza di un’opinione pubblica femminile forte, capace di appoggiare le donne, ma anche e soprattutto di sanzionarle. Le donne in parlamento potrebbero comportarsi meno neutralmente se sentissero un’opinione pubblica che le guarda, che non le abbandona. E invece il distacco fra le politiche e le donne ’fuori’, nella società, c’è. La maggior parte delle donne sono elette per la forza delle donne. Ma le donne vengono messe lì da un partito, e un partito ha bisogno di fedeltà. E spesso succede che le donne rispondano all’ultima mediazione, quella del partito, e non alla prima, la più forte, quella delle donne. Questo è un problema da affrontare. Ma lo si risolve creando una forte opinione pubblica femminile.

Ma come? Sono poche le donne, fuori dal parlamento, che si sono fatte sentire sulla questione elettorale.

Questa scarsità c’è. Nel privato le donne sono pronte a giudicare le altre, ma evitano di metterci la faccia.

Evitare di attaccare un’altra donna non è un’abitudine, forse persino una sorta di disciplina femminista?

No, è un luogo comune. O comunque è un errore. Non siamo un tutt’uno, le donne vanno anche giudicate. Ma è vero che quando una donna sente parlare un’altra donna importante, o con una forte esposizione, il suo primo impulso non è conoscere, ascoltare, ma identificarsi. Che sia all’assemblea dell’Onu o a una trasmissione politica, in quel momento rappresenta anche lei, e le donne in un certo senso. E se sbaglia, è un dolore per ciascuna e per tutte. È un grave errore, che nasce – non lo giustifico ma lo spiego – dal fatto, che abbiamo avuto una storia pesante. È un fenomeno che riguarda i gruppi sociali che ne hanno passate tante, gli ebrei, gli schiavi, i neri. Succede, è indubbio, ma va superato. Perché le donne sono tante e differenti. Superare questa storia non è facile ma è il cammino della libertà. Per questo parlo di presenza in politica e non di rappresentanza.

Gli uomini non rappresentano ’gli uomini’. Per le donne invece si crea una deriva di senso. È chiaro che quella battaglia alla camera ci faceva piacere, e molte di noi si sono sentite un po’, rappresentate. So bene che le deputate lottavano per sé, perché altrimenti molte al prossimo giro non saranno elette. Ma era la situazione ideale di quando una donna lotta per sé e lotta per tutte.

E quindi se oggi nascesse un partito separatista, non avrebbe la possibilità di candidare solo donne.

Bonne chance, ma un partito di sole donne dal mio punto di vista è sbagliato. Comunque è fuori dalla legge. Le pari opportunità, la risposta delle istituzioni al femminismo, che non ha dato grandi risultati, le abbiamo fatte noi.

Proprio lei, una storica separatista?

Io sono ancora molto separatista, mi piace lavorare con le donne e anche nella separatezza. Le riflessioni delle donne senza gli uomini sono più libere, e pure più simpatiche. Ma la politica serve per governare questa società e la società la debbono governare uomini e donne insieme. E vorrei aggiungere un’altra riflessione.

Prego.

A Montecitorio le donne sono più del 30 per cento. La quantità ha fatto massa critica, ha fatto la differenza. Per questo dico ’50 e 50’: la battaglia della camera, anche persa, è stata la prova che più donne ci sono, più sono libere e capaci di reagire. La massa critica ti autorizza. In un mondo degli uomini tu non sei autorizzata, al più trasgredisci.

Agli italiani e alle italiane, dicono i sondaggi, questa idea del riequilibrio per legge piace poco. Anzi, importa poco.

In teoria sarà anche così. In pratica di una società squilibrata si pagano le conseguenze tutti i giorni.

Dicono le grilline: ’alle donne serve il welfare, non il riequilibrio per legge’.

Alle donne serve il welfare, vero. Questo paese è tenuto in piedi dalle donne, la famiglia, il risparmio che regge le banche lo fanno le donne. Alle donne serve tutto. Perché mettere le cose in contrasto? E poi chi legifera sullo stato sociale? In un parlamento di uomini è la prima cosa che tagliano. Con più donne sarebbe più difficile.