Che fra i 5 stelle di Beppe Grillo e la Rai di Campo Dall’Orto stesse per scoppiare la luna di miele lo avevano predetto gli aruspici di palazzo già la scorsa settimana quando avevano intercettato un segnale nuovo. Per la prima volta i 5 stelle in commissione Vigilanza avevano espresso un voto insolito: sì alla nuova concessione Rai, un sì che per la prima volta si sommava al sì, dovuto e svogliato, della maggioranza e si distingueva dal no delle altre opposizioni. In pratica, i 5 stelle avevano lanciato un segnale di amicizia, se non una ciambella di salvataggio, al traballante direttore generale di viale Mazzini Antonio Campo Dall’Orto, ormai in disgrazia con il suo ’editore di riferimento’ Renzi.

Da quel giorno, era l’11 aprile, è stato tutto un crescendo: di attacchi del Pd alla Rai (sul caso Report, fino alla richiesta di danni). Dall’altra parte di difese del Cavallo da parte dei 5 stelle, alle prese con l’ultimo clamoroso contrordine: la Rai non è più quella della petizione di «cancelliamo il canone», quella del «tagliamo gli stipendi ai conduttori», quella della lottizzazione e insomma «il megafono a reti unificate».

Ieri il presidente della Vigilanza Roberto Fico ha rotto gli indugi e, nel conflitto ormai esploso nel cda Rai, si è rumorosamente schierato con il dg renziano, forse ormai ex. «Se il mandante della situazione che si sta sviluppando in Rai, con le voci di cacciata di Campo Dall’Orto, è Renzi, allora Campo Dall’Orto va difeso, come andrebbe difeso qualsiasi amministratore delegato, giornalista o dipendente Rai sul quale la politica si permette di mettere bocca». L’unico neo delle «cose positive» fatte dal dg è, per Fico, «l’informazione del Tg1». Al cui direttore Mario Orfeo, per inciso, il M5S ha inviato sotto casa due giornalisti dipendenti del gruppo al senato a fare domande in un modo che la Federazione della stampa definisce «intimidatorio».

A Fico fa eco il vicepresidente della camera Di Maio, anche lui nei panni di difensore della libertà di informazione, panni sfuggiti come sfuggiti sono talvolta i 5 stelle alle domande dei cronisti: «Renzi ha fatto fuori dalla Rai tutti i conduttori di talk che non gli andavano a genio», «Adesso vuole fare fuori il dg che gli ha consentito di portare avanti i suoi editti bulgari. Vuole ancora di più, vuole TeleRenzi».

L’impennata dei decibel sulla Rai coincide con una nuova crisi interna dei 5 stelle. Martedì i gruppi parlamentari dovranno decidere sul’espulsione dei tre parlamentari (Nuti, Di Vita e Mannino) rinviati a giudizio a Palermo per le firme false. Fico, nella suo ruolo di capogruppo, è per la linea morbida, Grillo invece per quella durissima. E forse per questo alza i toni sulla Rai: un modo per sviare l’attenzione dal caso Palermo e confermare la sua granitica milizia grillina.

Dal Pd replica il governo nella persona del sottosegretario Antonello Giacomelli. «Renzi non è un mandante, Campo Dall’Orto non era un servo e non è un bersaglio, la Rai non è la cartina di Risiko». «Le dichiarazioni di Fico sono farneticanti» rincara Francesco Verducci, senatore Pd della Vigilanza. «Le dinamiche del cda rispondono a logiche di autonomia e riguardano il merito delle questioni. Il Pd non fa ingerenze».

Nel frattempo i membri renziani del cda, tirati in ballo per la ventilata sfiducia nei confronti del dg, giurano sulla propria autonomia. Così fa Rita Borioni sui social. E Guelfo Guelfi: «Il presidente Fico è talmente abituato a essere eterodiretto che vede in qualsiasi nostra posizione una direzione esterna ai fatti: non è così, si è aperta in cda una discussione di merito sui piani di produzione e di trasmissione, c’è stato un confronto acceso ma nessuna scomunica al dg».

Ma Carlo Freccero, indicato in cda da 5 stelle e vendoliani, la racconta diversamente al Fatto: «La guerriglia sotterranea si è trasformata in una sfiducia plateale. I pasdaran renziani bombarderanno il dg dentro e fuori Viale Mazzini, seguendo le indicazioni di Michele Anzaldi, braccio armato e regista dell’operazione anti Campo Dall’Orto». Anche lui ora difende il dg e consiglia i grillini di aiutarlo in Vigilanza, «perché nel cda il mio contributo si limita al mio singolo voto».