Le probabilità che si arrivi a un’intesa tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte scendono di ora in ora. Ed è sempre più chiaro che, una volta annusato il sangue, la «tigre di Rignano (così lo chiamano gli ex compagni del Pd) non si fermerà finché non avrà ottenuto lo scalpo dell’avvocato del popolo. O facendo dimettere le due ministre o sfidandolo ad una conta in Senato, come ha ribadito ieri al Tg3: «Lo aspettiamo in Senato».

Se si arriverà in aula, Renzi è convinto che il governo cadrà. E per tenere i suoi giura che «non si voterà prima del 2023». In ogni caso l’obiettivo è costringere Conte a salire al Quirinale con la lettera di dimissioni, senza alcun accordo sul dopo. Anzi, con la quasi certezza che a quel punto si aprirà una giostra che spingerà il premier fuori dai giochi. «Tutti, anche dentro la maggioranza, aspettano che Matteo sfondi la porta e lui lo farà», spiega il deputato Michele Anzaldi al manifesto. «Lo farà perché Conte non è in grado di gestire la fase di emergenza e i 209 miliardi del Recovery e lo ha dimostrato. E ora bisogna mettere in salvo l’Italia».

Come? L’idea è quella di un governo di unità nazionale che duri fino a fine legislatura, una «safety car sulla pista di Formula 1», dice Anzaldi. «Alla guida serve una figura come Mario Draghi, se tutto l’arco politico, economico e sociale lo chiamasse non potrebbe dire di no». «Non esistono i governi di scopo, esistono i governi in grado di lavorare. Se Conte è in grado di lavorare lo faccia, altrimenti toccherà ad altri», dice lo stessi Renzi.

IL PIANO D’ATTACCO È PRONTO, le trattative dei prossimi giorni con palazzo Chigi vengono vissute come una inutile liturgia che però deve consumata, e sarà Conte a dettarne i passaggi. Sul dopo il percorso è molto accidentato, ma è chiaro che il senatore di Rignano sta lavorando da settimane con contatti anche con Salvini e Berlusconi per cucire la tela di un governo di unità nazionale, che poggerebbe sul consueto senso di responsabilità del Pd e sulla disperazione dei peones 5 stelle che non vogliono le urne. La crisi economica del resto consentirebbe il bis dell’operazione Monti con un nuovo protagonista, che potrebbe essere, se non Draghi, anche un’altra personalità di prestigio come Carlo Cottarelli o la ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia.

Le riserve della repubblica non mancano, e comunque Renzi si è convinto che, a questo punto, l’obiettivo principale sia mandare a casa Conte. «Toccherà ad altri», la frase chiave della giornata di ieri, che si scontra con le aperture che pure il governo ha fatto a Italia Viva sul nuovo Recovery Plan (con un forte rafforzamento dei fondi per sanità, cultura e digitalizzazione) e anche sull’addio al centro nazionale per cyber sicurezza, argomento per addetti ai lavori che però sta a molto a cuore a Renzi.

CONCESSIONI CHE IL PD ha fortemente voluto anche per togliere pretesti al leader di Iv che farà più fatica a far saltare il banco. Ma, in ogni caso, troverà un casus belli, che sia l’utilizzo del Mes sanitario, i ritardi sul piano vaccini o sulla gestione delle scuole. Insomma, uno dei tanti dossier su cui Renzi viene descritto dai colleghi di partito come «esasperato per l’immobilismo di Conte».

Sul fronte del centrodestra l’obiettivo è coinvolgere Forza Italia e Lega, che non si fidano del rottamatore. «In caso di crisi, nessuno potrebbe chiamarsi fuori dalla responsabilità di far uscire il Paese dall’emergenza sanitaria ed economica», spiegano fonti vicine a Giovanni Toti, in questa fase apripista di un centrodestra pronto a partecipare alla torta del Recovery, che ieri Berlusconi ha definito «il Piano Marshall del XXI secolo». Dentro la Lega Giancarlo Giorgetti è da tempo su queste posizioni, e aveva profetizzato che Renzi avrebbe trovato la forza per colpire Conte solo se avesse vinto Biden.

AL DI LÀ DELLE DICHIARAZIONI (ieri Salvini ha invocato la piazza), il progetto di governo di salvezza nazionale è più di un’idea. Tanto che Andrea Orlando, numero 2 del Pd, prova a stopparlo: «Non credo che mettendosi insieme noi con Meloni e Salvini si diminuisca la confusione, io mi troverei in grande imbarazzo». Dentro il Pd parecchi ex amici di Renzi sperano che si fermi, e che si accontenti del ministero della Difesa. «Ha capito che Iv è finita e vuole salvarsi facendo il segretario generale della Nato, quella postazione gli servirebbe», spiegano. Tra i renziani di oggi prevale invece l’idea che Matteo voglia uscire dall’angolo dandosi una missione di ampio respiro, il kingmaker di un governo che «porti in salvo il Paese facendo debito buono», dice Anzaldi. Citando, non a caso, Draghi.