Il Pd che appena 48 ore fa accusava i bersaniani di mettere in difficoltà il governo, blocca alla camera uno dei provvedimenti più attesi dell’esecutivo, il disegno di legge sulla concorrenza. La concorrenza in questo caso è quella che Matteo Renzi teme possa arrivargli da Carlo Calenda, ministro titolare del dossier e recente idolo di Confindustria (per la quale è passato, e poi per l’associazione di Montezemolo e il partito di Monti, prima di fermarsi sulla soglia del Pd). Proprio raccogliendo gli applausi degli industriali, Calenda aveva detto che il disegno di legge sulla concorrenza andava approvato «senza modifiche». Aggiungendo, profetico: «Non vorrei finire come l’ultimo dei Mohicani».
Ieri le commissioni sesta (finanze) e decima (attività produttive) di Montecitorio hanno approvato invece quattro emendamenti del Pd (e identici di Forza Italia) su quattro aspetti – mercato libero dell’energia, rinnovo tacito delle assicurazioni, telemarketing e odontoiatri – che secondo il ministro «non sono sostanziali ma di mera chiarificazione, il governo era disponibile ad affrontare i punti sollevati in fase di attuazione». Tutto questo per evitare un’altra navetta e il quarto passaggio parlamentare. Che adesso invece ci sarà.

In che tempi? Con la pausa estiva dietro l’angolo e la legislatura avviata a conclusione, la preoccupazione del ministro è che il rinvio possa equivalere a un affondamento. Tanto più che al senato nessun passaggio è semplice per la maggioranza. Calenda voleva la fiducia, Gentiloni ha ascoltato Renzi e non l’ha accontentato. Ieri in commissione il sottosegretario allo sviluppo ha provato a respingere gli emendamenti (precedentemente accantonati) ma il Pd ha imposto le modifiche. Con il relatore Andrea Martella, già portavoce della mozione Orlando, costretto ad andare contro il governo. Alla fine la ministra per i rapporti con il parlamento, Anna Finocchiaro (anche lei area Orlando) ha dato l’ok alle modifiche, assicurando però un rapido via libera del senato. Intanto alla camera, dalla prossima settimana in aula, non si parla più di fiducia, ma di«rapida approvazione».
Il sottosegretario che ieri si è inutilmente opposto in commissione alle manovre del Pd è l’altrimenti noto Antonio Guidi, rappresentante di quel partito di Alfano che sta portando avanti un corteggiamento serrato a Calenda, identificato dal fiuto del ministro degli esteri (e da un po’ di giornali) come il possibile Macron italiano. Quella che adesso Alfano chiama «agenda Calenda» è solo un altro terreno dello scontro tra Renzi e l’area centrista dell’ex delfino di Berlusconi. Mentre Berlusconi in persona ha detto in tv di voler incontrare Calenda, peraltro appena uscito da un incontro con Prodi. Il ministro dello sviluppo ha fatto sapere che non negherà la visita.

Sul disegno di legge concorrenza si è morso la lingua – «altrimenti mi deprimo» -, ma assai esplicito è stato il presidente della prima commissione di Montecitorio Andrea Mazziotti, che gli è vicino: «Il Pd sui temi della concorrenza è oramai all’opposizione rispetto al governo», ha detto. Un problema in più per Gentiloni, che peraltro si trova a Bruxelles per il consiglio europeo: proprio da lì era arrivata all’Italia la raccomandazione di chiudere con la legge sulla concorrenza «che è del 2015 e non è ancora stata perfezionata». La legge in effetti attende di essere approvata da 850 giorni, fu presentata nell’aprile 2015 della allora ministra Guidi e avrebbe dovuto essere una legge annuale. «Con tutto il rispetto per il parlamento la decisione di riaprire il disegno di legge – ha concluso il ministro Calenda, facendo direttamente riferimento al prossimo esame europeo sui conti italiani – è difficilmente comprensibile e rischia di trasmettere l’ennesimo segnale negativo a cittadini, imprese e istituzioni internazionali».

Il messaggio di Renzi, invece, è proprio per Calenda ed è probabilmente più esplicito di quello consegnato al ministro da Romano Prodi. Come d’abitudine Renzi si muove blandendo e colpendo, non si può escludere neanche il puro gesto di ritorsione. «Abbiamo migliorato il testo, in alcuni passaggi creava problemi invece di risolverli. Approvare una norma imperfetta sarebbe stato, questo sì, un segnale negativo al paese», ha detto il presidente del Pd Matteo Orfini. Mentre il capogruppo del partito – alla camera – Ettore Rosato, assicurava che «non c’è spazio per la polemica politica, l’approvazione anche al senato sarà rapida». L’ultima previsione del genere riguardava la legge elettorale.