A sorpresa Matteo Renzi si presenta al Senato, rientrato in anticipo dal Pakistan furibondo per le esternazioni di Goffredo Bettini che lo hanno convinto a prendere la decisione definitiva di non correre in nessuna regione tranne la Toscana con il Pd. E ricomincia a martellare Conte. Poco importa come finirà questo singolo match: comunque sia il leader di Iv intende tenere il governo sotto stress ogni singolo giorno. Faccia soddisfatta, sorrisone spavaldo. La deputata di LeU-Art.1 Michela Rostan passa al gruppo renziano. Non solo: anche un senatore dem, Tommaso Cerno, già sul punto di traslocare nel palazzo renziano in costruzione al momento della posa della prima pietra, annuncia il passaggio a Italia viva: «Considero prescritta la mia appartenenza al Pd».

Più che numericamente, il doppio cambio di casacca è importante sui piani psicologico e mediatico. Permette a Renzi di cantare vittoria nei confronti di Conte, il cui tentativo di acquisire voti per rendere i renziani superflui sembra invece restare al palo. Non che manchi il lavorìo per dar vita a un nuovo gruppo, composto essenzialmente da forzisti tra i quali il più attivo è senza dubbio l’ex berlusconiano di ferro Paolo Romani. Ma si muovono con l’intenzione di subentrare dopo la caduta di Conte, non per puntellarlo, come proprio Romani fa chiaramente capire. «La reazione muscolare del premier è stata un errore. Se non si hanno i numeri e noi siamo decisivi per la maggioranza dico che devono ascoltarci», se la ride l’ex premier.

Sa chiaro: a uscire ora dalla maggioranza il ragazzo di Rignano non ci pensa per niente. Non con tutte le nomine in ballo e la possibilità di fare il pieno approfittando della postazione privilegiata. Neppure ha intenzione, però, di permettere al governo di procedere senza incespicare a ogni passo. Ieri è stato il turno delle intercettazioni e Renzi la ha tirata quanto più a lungo possibile, fino a bocciare il testo del relatore Giarrusso e impuntarsi su una modifica risibile.
Ma la campagna che mira a ottenere la testa di «Giuseppi» Conte non può restare circoscritta nell’arena della giustizia e Renzi ne è ben consapevole.

Da due giorni promette scintille nell’intervista di stasera a Porta a Porta. Ha confermato anche ieri: «Consiglierei di ascoltare Vespa. È una cosa che può avere senso per il prosieguo della legislatura». Sulla natura della sorpresa, va da sé, sia il capo che gli alti ufficiali per una volta mantengono il riserbo. Probabilmente Renzi sottolineerà però la necessità di tenere conto del peso determinante del suo parere e dei suoi veti. Sempre che Conte non preferisca rompere gli indugi e metterlo alla porta verificando così se una «maggioranza alternativa» esiste davvero o è solo un miraggio. È probabile che metta sul tavolo anche la necessità di ripensare la politica economica, tanto per preparare il terreno al «piano shock» che presenterà poi giovedì. È probabile anche che i contenuti di quel piano guastino per l’ennesima volta la giornata al premier.

La domanda però resta da giorni sempre la stessa, semmai rafforzata dal braccio di ferro sulle intercettazioni di ieri: quanto può durare questo stato di ostilità permanente che non arriva mai a esplodere ma tiene il governo immobile? Renzi sa che un paradosso del genere non può proseguire in eterno, e neppure vorrebbe che così fosse. La cacciata di Giuseppe Conte resta il suo obiettivo prioritario.

Nel Pd iniziano quindi a sospettare che Renzi voglia tenere il premier sulla corda, logorandolo sempre più e tenendosi in una singolare posizione esterna/interna alla maggioranza, sino alle prossime elezioni regionali. Per provare a dare il colpo di grazia subito dopo se il risultato fosse disastroso per il Pd.