Oui, je suis Emmanuel Renzi. Non è che il ri-segretario del Pd proprio lo dica esplicitamente, però ci va vicino. L’identificazione col favorito delle presidenziali francesi è palese, il richiamo alla comune battaglia «contro i populisti» quotidiano. Dall’altra parte delle Alpi Macron risponde al richiamo. E’ stato tra i primi a telefonare al fiorentino per complimentarsi: «Bravo. En marche!». Non è il solito caso di italico provincialismo, come quando i leader del Pds sgomitavano per farsi fotografare a fianco di Tony Blair. Stavolta il rapporto è biunivoco, dire chi imita chi e chi si appoggia a chi sarebbe arduo. Se Matteo fa il possibile per affermarsi come il Macron de noantri, Emmanuel si è prodigato altrettanto per imporsi come il Renzi cisalpino, ed è stato infatti accusato di «copiare» il gemello italiano.

Le somiglianze tra i due sono palesi. Uno ha abbandonato un partito ancora venato di fantasie socialdemocratiche per fondarne uno nuovo e depurato da quella tara. L’altro ha preso un partito allo sbando ma con ancora qualche vaga reminiscenza socialisteggiante e lo ha trasformato in qualcosa di molto simile all’En Marche! Di Macron. Entrambi puntano al partito “né di destra né di sinistra”, cosa diversa da una forma di tardo blairismo al quale in realtà nessuno dei due aspira, dando il meglio di sé in materia di diritti civili e il peggio quando si tratta di diritti sociali. Entrambi scommettono, non a torto, su una ricaduta positiva in casa propria del successo del gemello. Senza dubbio la vittoria di Macron rafforzerebbe le posizioni di Renzi e lo spingerebbe ancor di più a cercare le elezioni a breve, indispensabili per mettere a frutto quelle primarie Pd che nella sua visione sono un po’ l’equivalente del primo turno in Francia.

Ma non è solo questione di propaganda e campagna elettorale. Macron sarà probabilmente il prossimo inquilino dell’Eliseo. Anche se molto meno favorito del francese, Renzi punta senza piani B di sorta a riconquistare palazzo Chigi. Per entrambi non si tratterebbe di posizioni comode, dovendo entrambi fare i conti con il ghignante spettro del rigorismo europeo e tedesco. Ma proprio quell’asse italo-francese nel quale sperava Renzi nella prima fase del suo premierato e che era stato reso impossibile dall’indisponibilità di Hollande potrebbe ora essere riproposto con ben maggiori possibilità di successo. Non a caso, nello scorcio finale del duello con Marine Le Pen, il candidato in pole position ha assunto una posizione sull’Europa praticamente identica a quella di Renzi. Una guerra su due fronti: contro il populismo antieuropeo di Le Pen-Grillo, ma anche contro l’Europa del rigore di Scaheuble. Inutile aggiungere che se il fronte comune euro-riformista si imponesse anche in Germania con la vittoria di Martin Schulz il gioco sarebbe davvero fatto.

Il progetto non è frutto solo di miraggi, ma la strada è accidentata. Macron uscirà probabilmente vincente dal ballottaggio di domenica, ma non è affatto certo che l’eventuale successo si ripeterebbe nelle elezioni per l’Assemblea nazionale dell’11 e 18 giugno. Renzi rischia forte di non essere il primo partito nelle elezioni italiane, e anche se lo fosse dovrebbe fare i conti con un Parlamento probabilmente ingovernabile e incapace di esprimere una maggioranza. Lo stesso Schulz, se anche vincesse, dovrebbe poi dar vita a una grande coalizione nella quale eliminare i falchi del rigore non sarebbe un gioco.

Ma queste sono storie di domani. Per ora l’importante sono solo le elezioni. Nessuno farà il tifo per Macron più di Renzi. E viceversa.