«Profondamente commosso»: così si dichiara l’assolto dopo la lieta notizia, e potrebbe aggiungere «profondissimamente sollevato», perché la paura è stata tanta. Stringato ed essenziale il corollario politico: «Il percorso politico di Fi non cambia». Sarebbe stato «avanti tutta» sulle riforme di Renzi anche a fronte di una condanna. Figurarsi dopo l’insperata assoluzione piena.

Piovono, anzi diluviano, messaggi di tripudio da parte di chiunque nel partito azzurro abbia un qualche ruolo. Inondano la rete, riempiono la sede del partito a Roma. Tutti uguali, tutti più che esultanti, tutti in lacrime di gioia. Solo Brunetta aggiunge che a questo punto la grazia per quella fastidiosa sentenza dell’anno scorso è d’uopo. Sono tutti sinceri i festanti, perché una condanna del capo non se la augurava nessuno, e nessuno la riteneva giusta. Ma tra i tanti che gioiscono, ce ne sono due più soddisfatti degli altri, e solo uno, Denis Verdini, ha in tasca la tessera forzista. L’altro è Matteo Renzi.

Per settimane e mesi Verdini ha ripetuto al cavaliere che la sua sola opportunità di salvezza era legata alla partecipazione attiva e determinante al «percorso delle riforme». Che l’effettiva assoluzione sia o meno una coincidenza, Denis passerà immediatamente all’incasso e troverà cancelli spalancati. A dettare la linea di Arcore, sarà più che mai il fiorentino. Per Renzi la notizia è rosea: un Berlusconi condannato sarebbe stato difficilmente controllabile, sulla fedeltà di un Silvio assolto si può mettere la mano sul fuoco.

Nel giro di 24 ore appena, tutte e due le armi adoperate dalla coppia fiorentina per costringere il socio del Nazareno a onorare il patto sono state in effetti confermate dai fatti. A Milano l’assoluzione. A Roma, un avvicinamento sulla legge elettorale tra Pd e M5S che dà pienamente ragione ai numerosi moniti dell’immancabile Verdini: «Attento Silvio, che se ti sfili dalla riforme Renzi fa la legge elettorale con Grillo, e sarebbe una legge studiata solo per fare le scarpe a noi». In effetti la legge dei pentastellati che Renzi il Furbo non ha ancora escluso dal novero delle possibilità concrete eliminerebbe Fi dalla corsa a palazzo Chigi. Farebbe del Pd e del M5S i soli veri contendenti. Proporzionale al primo turno, premio di maggioranza assegnato al partito e non alla coalizione: per Arcore, l’incubo più nero.

Certo, la manovra di Renzi non sfugge al M5S, che sa benissimo di essere in questo momento usato dal golden boy e quindi prova a divincolarsi, dichiara che «il tempo degli incontri è finito», sfida Renzi a dare un seguito concreto alle parole pronunciate giovedì introducendo le preferenze nella legge elettorale. Ma ormai Renzi il suo risultato lo ha ottenuto. Il fantasma di una legge concordata con i pentastellati è in campo e Berlusconi, che già la temeva, non potrà che tenere in massimo conto la novità.

Tutto dunque lavora a rinsaldare il patto del Nazareno e a facilitare il percorso accidentato della riforma. Alfano, si felicita, e con lui tutti i ministri Ncd, ma non dimentica di segnalare che «si rafforza la strada intrapresa per cambiare con coraggio il Paese». Eppure, anche se la sentenza di ieri è davvero un assist prezioso per Renzi, qualche spessa ombra rimane. Non a caso, prima dell’assoluzione, Minzolini sosteneva che «la sentenza, qualunque sia, non cambierà niente». Perché se è vero che il capo marcerà più deciso che mai sulla pista del Nazareno, è anche vero che il potere quasi assoluto nel partito consegnato dalla sentenza a Verdini non rasserenerà affatto i frondisti, in particolare le componenti campane e pugliesi, e meno di tutti gli altri Raffaele Fitto. Inoltre, una ulteriore mazzata giudiziaria avrebbe permesso ai fedelissimi di tenere sotto scacco i ribelli accusandoli di indebolire «il presidente» nel momento più difficile: proprio l’argomento col quale Verdini era riuscito in extremis a far cancellare la riunione degli «autoconvocati» nei giorni scorsi. Quella sorta di «ricatto morale» ora non c’è più. E giovedì, quando si è trattato di votare il calendario imposto dal governo sulle riforme, i ribelli del Pd lo hanno approvato. Quelli di Fi, nonostante la «questione di fiducia» posta da Berlusconi e pur alla vigilia della temutissima sentenza, no.

A porte chiuse, Renzi parlava ieri di «strada spianata per le riforme», evitando però dichiarazioni ufficiali, mentre la sua cerchia ripeteva giuliva che «le sentenze non si discutono» e che ogni ipotesi di correlazione tra patto del Nazareno e assoluzione è assurda.

Il sollievo è comprensibile. Non è detto però che sia giustificato. Anche se quasi certamente il Pd tenterà di contingentare i tempi del dibattito al Senato, il rischio di sforamento sino a settembre resta tutto. Ma soprattutto resta la minaccia di voti a sorpresa su qualche emendamento fondamentale.