La Commissione europea critica la riforma fiscale annunciata da Renzi, con il taglio delle tasse sulla prima casa, e il premier risponde chiaro, per le rime: «La Ue non deve mettere bocca sulle scelte dei Paesi».

Il botta e risposta arriva a 15 giorni dall’approvazione della legge di Stabilità (prevista il 15 ottobre) e in realtà è la seconda puntata di un dibattito che si era già aperto qualche settimana fa, quando Bruxelles aveva indicato al governo italiano l’opportunità di concentrare i tagli più sul lavoro che sul patrimonio.

Ma ieri, al bis dei commissari europei, Renzi è stato ancora più netto, rinviando tutto al mittente e confermando la sua intenzione di procedere alla riforma.

Nel rapporto 2015 «Riforme fiscali negli Stati membri dell’Unione europea», redatto dalle direzioni generali Affari economici e Fiscalità della Commissione europea, si legge che l’Italia dovrebbe ridurre la pressione fiscale sul lavoro e spostare il carico sui consumi, sugli immobili e sulle donazioni.

Sempre secondo il rapporto, l’Italia, assieme a Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Lettonia, Ungheria, Austria, Portogallo e Romania, sembra «avere una potenziale necessità di ridurre la pressione fiscale relativamente elevata sul lavoro e la possibilità di aumentare tasse meno distorsive». D’altronde, per la Commissione è comunque una necessità in sé quella di abbattere la tassazione sul lavoro, monito che ha indirizzato anche ad altri stati, tutti quelli sopra la media di un cuneo fiscale “fisiologico”: nel rapporto si indica infatti che uno Stato membro ha «una potenziale necessità di ridurre l’onere fiscale complessivo sul lavoro», se l’aliquota fiscale implicita sul lavoro o se il cuneo fiscale sul salario medio sono relativamente elevati rispetto alla media europea.

Dato che, secondo Bruxelles, vale per l’Italia come per Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria e Finlandia.

L’aliquota fiscale implicita sul lavoro in Italia nel 2012 era del 42,8%, il livello più alto nella Ue assieme al Belgio, e più alto della media Ue (36,1%) e area euro (38,5%). Nel 2014, il cuneo fiscale sul salario medio era del 48,2%, contro il 43,4% della media Ue e il 46,5% dell’eurozona.

Ultima raccomandazione all’Italia: insieme a Grecia, Spagna, Polonia e Regno Unito, ha un gettito Iva «significativamente al di sotto» della media Ue; nel 2014 era pari al 36,8% del gettito complessivo, contro il 48,1% della media Ue e il 48% dell’eurozona. La Ue invita dunque l’Italia a «limitare l’uso di aliquote ridotte e di esenzioni», perché questa misura «può contribuire a evitare distorsioni economiche, ridurre i costi per il rispetto delle norme e aumentare le entrate fiscali».

La reazione di Renzi non si è fatta attendere: «Ricordo all’Europa e a me stesso – ha detto il premier a New York, a margine dell’Assemblea Onu – che il compito dell’Europa non è quello di mettere bocca su quali scelte fiscali fa uno Stato. L’Europa ha tanti compiti, deve occuparsi di tante questioni ma non deve decidere al posto dei singoli Paesi quali scelte fiscali devono fare». «Quali tasse ridurre lo decidiamo noi, non un euroburocrate a Bruxelles – ha ripreso il presidente del consiglio – Per molti anni l’Italia ha alzato le tasse venendo incontro all’Europa, questa volta è bene che gli italiani sappiano che decidiamo noi ma le riduciamo le tasse. L’Europa faccia il suo mestiere e noi il nostro e sul nostro decidiamo noi».

Intanto perplessità e dubbi sul Def sono arrivati ieri sia dai tecnici delle Camere che dalla Corte dei Conti. I tecnici di Camera e Senato, nella Nota di aggiornamento al Def, scrivono che insieme all’indicazione «puntuale» delle misure da inserire nella prossima legge di Stabilità, «sarebbe opportuno» chiarire «il nuovo profilo» della spending review «sia in termini qualitativi che in particolare quantitativi, l’impatto di tale revisione in termini di minori risparmi conseguiti» e «le conseguenti misure di copertura che si prevede di utilizzare».

Insomma, «la relazione non fornisce alcun tipo di informazione circa la composizione quantitativa delle misure, limitandosi a indicare l’entità complessiva della manovra». Per i tecnici bisogna chiarire su «spending, voluntary disclosure e clausole di salvaguardia».

La Corte dei Conti, in audizione al Senato, nota che il Def prevede un ulteriore «margine non scontato sui saldi bilancio per la clausola per gli immigrati» (insomma, non è detto che ci sarà). Ancora, il gettito previsto «non è esente da incertezze», «perché risente dell’andamento dell’economia». E infine si dovrà chiarire il programma di taglio di tasse sulla casa, vista «l’incertezza che è stata generata dal susseguirsi di scelte a volte contraddittorie».