Dopo il nuovo, il più nuovo, poi il più nuovo ancora, e così via all’infinito. La politica, italiana e non solo, segue ormai la logica della pura e semplice produzione di merci. Non quella di qualsiasi epoca, ma di questa in cui il ciclo di vita dei prodotti diventa sempre più breve e l’innovazione ha il carattere della rivoluzione permanente. La distinzione Nuovo/Vecchio, più merceologica che politica, ha quasi completamente oscurato quelle tradizionali (destra/sinistra, capitale /lavoro).

Adesso il Nuovo è ovviamente incarnato dal M5S. La sua forza principale è stata finora quella di rappresentare l’estraneità assoluta al prodotto declinante, i partiti, di un mercato saturo, la democrazia rappresentativa, svuotata da tre decenni di neoliberismo. Il consenso che ha ottenuto deriva soprattutto da questa posizione, ed è naturale che adesso cerchi di conservarla. Questa rendita di posizione però è anche un’arma a doppio taglio, come tutte le armi di natura mediatica e spettacolare.

Da un lato paralizza il Movimento, impedendogli di incidere immediatamente sulla realtà politica italiana (un’opportunità che Casaleggio e Grillo non si aspettavano, e che li ha spiazzati), con il rischio di deludere una parte del proprio elettorato apparendo, come le altre forze, inutile rispetto ai bisogni e alle insicurezze sociali e più orientato alla crescita della propria rendita che all’interesse generale. Dall’altro lato, proprio questo insieme di meccanismi, unito alla sovraesposizione mediatica, rischia di consumare l’immagine del prodotto web-M5S, di renderla già vecchia e assimilabile a quella delle altre forze politiche. Un conto è essere fuori dalle istituzioni importanti e poter giocare la carta dell’outsider, ma se la logica dominante diventa quella del nuovo-outsider che scalza chiunque sia interno al sistema, una volta che si diventa interni la ruota può girare in fretta anche contro chi ha vinto l’ultimo giro.

Non è vero che i principali mezzi di comunicazione sono ostili a Grillo. I principali quotidiani e canali televisivi hanno costruito negli anni le condizioni culturali del suo successo, riconducendo tutti i problemi della società alla corruzione della «Casta». E lo hanno favorito direttamente: Grillo è sulle prime pagine e nei prime time da 5 anni. Ma i media hanno la loro logica: il ciclo di vita della merce-notizia è breve. E i loro proprietari e inserzionisti hanno i loro interessi: magari dopo Grillo può esserci qualcuno che li rappresenta meglio.

In questi giorni c’è qualche avvisaglia del fatto che il nuovo più nuovo ancora, e più utile ancora, dopo essere stato testato in sondaggi, focus group e test sui consumatori (le primarie del centrosinistra), sia già disponibile a essere immesso nel mercato e occupare la scena mediatica a fianco, ma anche al posto, di Grillo. Piace anche al segmento di mercato più entusiasta di Grillo, i giovani, come ha dimostrato la trasmissione «Amici». Matteo Renzi ha tutte le potenzialità per creare un mercato monopolistico, riassumendo in sé e portando a una sintesi superiore le innovazioni tecnologiche ed estetiche che hanno fatto la fortuna del prodotto precedente.

È Nuovo (o almeno riesce a presentarsi così), non ha connotazioni ideologiche (anche se è liberista), piace a sinistra e a destra (più a destra), usa retoriche anti-Casta. In più, rispetto a Grillo, è «Giovane», e può essere rappresentato come uomo proveniente dalla sinistra. Il prodotto sarebbe ancora più efficace del precedente nell’eliminare la residua presenza politica e culturale della sinistra, e magari nel favorire una chiusura della transizione basata su riforme restrittive della democrazia (presidenzialismo, ulteriore rafforzamento dell’esecutivo sul legislativo, «americanizzazione» del finanziamento ai partiti).

Con Renzi il capitalismo avrebbe uno sparring partner meno ambiguo di Grillo, privo (anzi avversario) delle sue inclinazioni ambientaliste e comunitaristiche. Tutto il discorso pubblico potrebbe concentrarsi sulla sola riduzione del peso, già molto leggero, della politica nella società, e il carattere di «Novità» potrebbe convergere sul compimento dell’evoluzione liberista della sinistra riformista. Che Renzi piaccia al capitalismo italiano lo dice la lista dei suoi finanziatori: immobiliaristi, finanzieri, imprenditori, rentier. I sondaggi già lo dicono: il suo gradimento è quasi doppio rispetto a quello del prodotto concorrente.

L’ansia di nuovo viene ricondotta all’avvicendamento sempre più veloce tra leader. Ma proprio l’infinità di questo meccanismo, il fatto che ogni novità presto stanchi e deluda gli elettori, segnala che contiene una volontà di cambiamento strutturale che i media sanno trattenere e deviare.

Come si sta dicendo da più parti, è la stessa democrazia rappresentativa a non essere più in grado di contenere i cambiamenti sociali degli ultimi 30 anni, e quindi ad attraversare una crisi organica. Il nucleo di questa crisi è la sconnessione radicale tra forze politiche e gruppi sociali. Quali sono i gruppi sociali di riferimento delle forze politiche presenti in Parlamento? Tutti e nessuno. I sistemi politici crollano soprattutto per questa sconnessione. Dall’altro lato, la base della delusione e della continua ricerca della novità è l’assenza di politiche popolari.

Di fronte al campo iper-ideologico scelto dalle élite per affrontare la crisi politica ed economica, la sinistra non ha altra risorsa che costruire un contro-campo popolato di soggetti reali e problemi reali. La mobilitazione collettiva e la costruzione di coalizioni sociali sono sempre state le sue sole armi contro le rappresentazioni ideologiche della società, i cui strumenti oggi si moltiplicano a dismisura.

Le forze politiche e sociali che volessero e potessero affrontare con decisione i due problemi strutturali nascosti nel conflitto Nuovo/Vecchio, avrebbero di fronte a sé un terreno potenziale di conflitto egemonico. Un conflitto difficile ovviamente, per le spinte contraddittorie che caratterizzano la contemporanea ansia di cambiamento, ma non impossibile, soprattutto perché è una parte ormai quasi maggioritaria della popolazione quella che viene espulsa dal perimetro delle garanzie e dei diritti. Dal momento che la voglia e la necessità del cambiamento sono ricondotte alle loro dimensioni più estetiche e superficiali, sono catturate nei loro aspetti meno essenziali (stipendi dei parlamentari, età dei politici, ecc.) assumendo i tratti classici della «rivoluzione passiva», si tratterebbe di attivare un lungo processo contro-egemonico, di costruire una coalizione sociale in grado di rendere stabili gli elementi progressivi contenuti nel «nuovismo».

La sinistra socialista e comunista è nata dalla politicizzazione di una parte del mondo sociale (il lavoro organizzato). La sinistra del XXI secolo può nascere solo da una nuova politicizzazione del sociale, che non può essere (solo) lo stesso mondo sociale di 150 anni fa, e la cui organizzazione politica non può avere la stessa forma.

C’è un terzo elemento contraddittorio che caratterizza questa fase. Grillo e Renzi sono accomunati dall’esibizione costante del proprio post-ideologismo. Anche da questo deriva il loro successo, cioè dalla loro capacità di apparire rappresentanti della totalità del corpo sociale più che di alcune sue parti. L’adesione diffusa a questo schema culturale, totalità contro parzialità, ha aspetti molto pericolosi. Può essere la migliore premessa alla delega plebiscitaria, alla legittimazione dell’autoritarismo, alla repressione del conflitto. Ma contiene aspetti che vanno anche nella direzione opposta: la volontà di ricostruire cittadinanza e legame sociale, il bisogno di identità e appartenenza, la tendenza a costruire alleanze vaste che reagiscano alle molteplice forme che assume oggi il dominio del capitale sulla vita.

Totalità può anche significare nuovo universalismo. La prevalenza della dimensione della totalità su quella, storicamente essenziale per la sinistra, della parzialità, impone a chi voglia ricostruire una coalizione sociale che si ponga al livello del conflitto per l’egemonia, di sviluppare una visione di società che, pur essendo incardinata sulla difesa del lavoro e dei ceti subalterni, non appaia pregiudiziale, ideologica e minoritaria, ma sembri la logica conseguenza di una situazione reale.