«Nessuno provi a rappresentare il nostro partito come una bottega di arrivisti. Nessuno è in vendita». Nichi Vendola alza uno scudo stellare su Sel, in questi giorni agitato – a leggere i giornali – dallo spettro di una scissione, l’ennesima, incubo della sinistra dai tempi dell’89. Falsificazioni interessate, dice Vendola, sulla tentazione di un ingresso nel governo Renzi; o di un sì alla fiducia, anche pronunciato alla spicciolata, in cambio di poltrone. Voci, venticelli calunniosi – a detta dei coinvolti – che il presidente attribuisce agli «staff di certi leader» – leggasi quello del Pd – «maliziosamente messe in giro. Anche sulla presidente della camera Boldrini» che hanno «lo scopo di inquinare la ricchezza del nostro dibattito», «come se in Sel ci fossero i saldi».

Vendola stoppa tutto: «Renzi, con una formidabile accelerazione politica ha dissipato un intero patrimonio di credibilità, speranze e consensi». Lo scetticismo sulla nascita del nuovo governo parte dalla «brutalità» con cui è liquidato il premier Letta, in una crisi «consumata nel chiuso di un partito», e un dibattito zeppo «di citazioni letterarie per sublimare il carattere livido del passaggio autocannibalesco. Era meglio citare il Conte Ugolino», il dannato dantesco che si nutre dei figli e di se stesso.
Quanto al voto di fiducia – finita l’assemblea, la delegazione di Sel sale al Colle per le consultazioni – Vendola chiude. Ma non la discussione fra i suoi. Fabio Mussi attacca il capogruppo alla camera Gennaro Migliore per non aver stroncato le voci di una scissione fra i parlamentari. Ma a poco vale il tentativo di mettere la sordina sulle differenze. Fra i parlamentari c’è chi pronuncia un no a prescindere a un governo con Alfano, e chi aspetterebbe il programma per lo stesso monosillabo. Ma nel documento finale c’è l’unanimità sulle condizioni per Renzi: no agli F35, esodati, patrimoniale, reddito minimo, violare il vincolo del 3 per cento in Europa. E: ius soli, diritti civili, («Ma quale può essere per il Pd il minimo comune denominatore con Carlo Giovanardi?»), riforma dei trattati europei, fiscal compact. E però la fiducia di Renzi – impronunciabile per tutti – è solo un’insorgenza del tormento di Sel. Che sta comunque a un bivio da scapicollo: se il «governo di emergenza» di Letta si trasforma nel «governo di legislatura di Renzi» con la destra, è l’idea stessa dell’alleanza di centrosinistra che si sgretola. Portandosi giù alla pietra angolare di Sel: ricostruire la sinistra del centrosinistra.

Il tema investe in pieno l’adesione alla lista unitaria per Tsipras, il leader della sinistra radicale greca, già indicata al congresso di Riccione e confermata ieri. Eppure Sel andrà al congresso del Pse di Roma, il 28 febbraio, che indicherà invece il socialdemocratico Schulz candidato alla presidenza della commissione Ue. Qui lo scontro è ruvido. «Riprendiamo le fila del progetto originario, c’è chi intende la lista Tsipras come un passaggio per costruire una cosa a sinistra, fuori dal Pse» (Ileana Piazzoni), «Siamo una minoranza ma non dobbiamo essere minoritari» (Martina Nardi), «Tsipras è un nostro caro amico ma nella sua lista siamo maltollerati» (un durissimo Claudio Fava). Nel mirino le condizioni poste dai promotori della lista (no leader di partito né chi ha ricoperto incarichi di governo nazionali e regionali). Migliore: «Cancelliamo quei veti. Il nostro contributo deve essere garantito anche a costo di ricordare che possiamo presentare una lista autonoma». Replica di Mussi: «L’idea che con un nostro sacrificio si evitino altre candidature mi sembra augurabile». E Massimiliano Smeriglio: «Tsipras non è un minoritario, in Grecia ha il 30%, a Roma ha voluto incontrare Letta e Zingaretti. Piuttosto, evitiamo di augurarci di fare la fine dei socialisti Nencini».

Finisce alla conta, sulla lista Tsipras. In 51 firmano un emendamento che chiede altre verifiche per aderire alla lista unitaria e mette in guardia dalle derive «neogirotondine e grilline» dei promotori. Poi lo votano in meno di trenta. Fra loro 19 deputati su 37 (fra gli altri il capogruppo Migliore e il tesoriere Sergio Boccadutri, Titti Di Salvo, Fava), e un senatore su 7: quasi la metà dei parlamentari. Ileana Piazzoni già parla della nascita di «un’area» (i ‘miglioristi’, è la battuta velenosa che circola). Potrebbe essere uno scatto di crescita per Sel, a casa Pd sarebbe pane quotidiano. Qui è un mezzo trauma. Che non finisce qua, se Renzi deciderà unilateralmente, forse persino sbadatamente, di chiudere la storia del centrosinistra.