Molto, se non tutto, dipenderà dalla scelta del presidente del Senato Piero Grasso. Sta a lui decidere se considerare emendabile l’intero articolo 2 della riforma costituzionale, quello che detta le norme per l’elezione, o per la nomina, dei senatori, oppure se limitare la riapertura del dibattito alla modifica minima introdotta dalla Camera. Sul punto chiave, le possibilità di accordo tra governo e minoranza Pd sono sotto zero: «Tutte le modifiche concordiamole insieme tra senato e camera nel Pd», dice infatti Renzi aprendo l’assemblea serale con i senatori dem. Ma sull’articolo 2 «la doppia lettura conforme non si può mettere in discussione». Esageratamente attesa, l’assemblea era in realtà una sceneggiata già scritta, dall’esito (negativo) previsto sin nei particolari.

La presidente della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama, Anna Finocchiaro, alla quale spetta la decisione per quanto riguarda il voto in commissione, è determinata a chiudere ogni possibilità di rimettere in discussione l’articolo della discordia: «Non è possibile da un punto di vista regolamentare». Questione puramente teorica: a meno che il leghista Roberto Calderoli non ritiri i suoi 500mila e passa emendamenti, la commissione non voterà e la legge arriverà direttamente in aula senza relatore. Il parere della Finocchiaro sulla emendabilità dell’articolo 2, tuttavia, verrà emesso comunque.

La posizione della presidente di commissione non impegna il secondo cittadino dello Stato, tuttavia è molto probabile che Grasso si comporterà in modo conforme. A mezza bocca se ne dicono certi i renziani e lui, anche se ufficialmente giura di non aver ancora sciolto il nodo, indirettamente conferma. Al pentastellato Crimi, che in aula aveva ricordato le parole del presidente nella tradizionale cerimonia del Ventaglio, interpretandole come disponibilità a rivedere l’intero articolo incriminato, replica secco: «Le conclusioni che lei ha attribuito al mio intervento sono difformi da quelle che si possono ricavare da una sua lettura».

Sino a quando Grasso non avrà risolto il dilemma, tutto resterà immobile. Ufficialmente governo e maggioranza Pd utilizzeranno questo lasso di tempo per cercare un accordo con la minoranza del partito. In realtà lo metteranno a frutto per acquistare quanti più senatori possibili, cercando di pescare soprattutto tra i moltissimi ex grillini confluiti nel gruppo misto. Il punto dolente è che, al momento, più che conquistare nuovi e preziosi voti il governo ne sta perdendo altri.

Dopo i dissidenti interni al partito guidato da Renzi arrivano quelli dell’Ncd. Il partito di Alfano è in sofferenza profondissima, anche perché gli accordi sottobanco già stretti con il premier non garantiscono agli ex azzurri più di una quindicina di seggi nel prossimo Parlamento. Briciole per un partito che di voti ne ha pochi, ma di seggi da difendere moltissimi. Conclusione: anche da quelle parti 15 senatori sono decisi a bocciare la riforma, con il conclamato obiettivo di silurare a ruota anche la legge elettorale che li condanna alla scomparsa. Obiettivo peraltro condiviso in pieno dagli «amici» di Fi.

In queste condizioni, se il presidente del Senato riaprirà i giochi sull’art. 2, l’incidente grave incombe. Con centinaia di emendamenti e una maggioranza traballante o inesistente, trattasi di certezza più che di timore. Ma anche se Grasso spalleggerà il governo, come ha sempre fatto sinora, resta un margine di rischio: emendato o meno, il maledetto articolo dovrà infatti essere votato, e con un plotone di dissidenti nella maggioranza l’esito è comunque incerto. Ecco perché Renzi sta valutando una mossa estrema: mettere la fiducia solo sull’art. 2. Si tratterebbe di una forzatura senza precedenti, trattandosi di riforme costituzionali. Potrebbe però trattarsi di una scelta obbligata, in caso di emendabilità e forse comunque.

Il duello sul Senato elettivo tiene banco, però non è affatto il solo elemento critico nella riforma. Praticamente tutto palazzo Madama è deciso a modificare le norme che ne fissano le future funzioni. A Montecitorio il testo originario, che già lasciava a palazzo Madama ben poco da fare, è stato corretto sino a rendere il Senato meno incisivo di un dopolavoro.

Infine c’è il caso Calderoli. Il leghista, forte di apposito programma computerizzato, promette di presentare in aula un milioncino di emendamenti. La sola necessità di mettere i senatori a conoscenza del pacchetto renderebbe impossibile approvare la riforma entro il 15 ottobre. Nel Pd si dicono convinti che l’ex ministro non oserà dar seguito alla minaccia. Facile che abbiano ragione, però con Calderoli non si può mai dire.