A scrivere un manuale su come si fa carriera politica nei regimi postdemocratici poche figure si prestano alle esemplificazioni come quella di Matteo Renzi. Non mancano altri casi esemplari. In cima Enrico Letta. Ma Renzi è così perfetto da far pensare di esser stato fabbricato in laboratorio.

Regola 1. Per entrare in politica serve un capitale politico personale d’avvio. Esperienza da scout, figlio d’imprenditore prossimo alla Dc, rete larga di conoscenze, discreti mezzi economici, Renzi è in partenza già pronto a districarsi ai piani bassi della politica, accodandosi a un personaggio di qualche peso come Lapo Pistelli.

Regola 2. In ogni schieramento politico le candidature alle cariche di rango si spartiscono tra le sue diverse fazioni. Una a me, una a te. Il Nostro si è trovato al posto giusto quando si trattò di bilanciare con un ex-Dc alla provincia la candidatura dell’ex-Pci Domenici a sindaco di Firenze.

Regola 3. Le cariche pubbliche sono preziose per incrementare il proprio capitale personale. L’azione di governo conta poco. Una presidenza della provincia è invece una postazione eccellente per guadagnare conoscenze, amicizie e tifoserie. Consente mille contatti: categorie professionali, parrocchie, associazioni, salotti. Qualche committenza azzeccata, qualche assunzione, ed ecco ciò che basta a puntare più in alto. Il Nostro l’ha capito.

Regola 4. Le primarie le vince non il candidato più credibile e più capace, ma il più dotato di capitale politico. Alle primarie per scegliere il successore di Domenici a Palazzo Vecchio Renzi l’ha spuntata battendo nientemeno che un deputato in carica. Il quale non poteva reggere il confronto, quanto a capitale politico, con un presidente di provincia.

Regola 5. La qualità di un politico si misura anzitutto col gradimento dei media, non col suo operato. A scorrere le classifiche stilate dal Sole 24 Ore, i fiorentini non stravedono per il loro sindaco. Che in compenso sa mettersi in mostra. Eletto sindaco, si è subito messo in lizza per la partita successiva. Firenze è un vetrina di lusso, lui è giovane, pronto di battuta e non gli manca l’inventiva. Si è infilato finanche nella tana di Arcore.

Regola 6. Ai media serve anzitutto un buon racconto. A Renzi l’occasione l’hanno offerta le primarie del centrosinistra. Bersani giocava la carta dell’esperienza, della forza tranquilla, dell’uomo di governo che si era preso la croce di un partito reduce da una umiliante disfatta. Vendola ha scelto il ruolo del perdente in partenza, ma ostinato nel rendere omaggio ai vecchi e nuovi temi della sinistra. Renzi è stato il vero e perfetto antagonista. Contro un apparato possente, la contesa non aveva storia e si profilava noiosissima. Lui è riuscito ad animarla. È stato il rottamatore, il Grillo fatto in casa, il discolo che scompaginava il gioco. Le primarie sono pertanto servite più a lui che a Bersani. Vi è entrato da outsider senza speranza, ne è uscito da leader del futuro. Pronto a cambiar tutto, contro uno che si attardava in tortuosi equilibrismi: tra i notabili del partito, tra potenziali e incompatibili alleati e tra contraddittori e incerti progetti di governo. Come premio di consolazione Renzi s’è portato a casa una nutrita pattuglia di parlamentari, sul cui impiego – alle elezioni del presidente della Repubblica – più di un sospetto è legittimo. È pure probabile che la sua foga rottamatrice abbia dato un aiutino a Grillo. Ma chi osa più rimproverarglielo?

Regola 7. I media a larga audience pretendono parole semplici. Niente storia, niente tradizioni politiche, valori, progetti di società. Niente costituzione, antifascismo e resistenza. Berlusconi ha ridotto la parola a invettiva: contro giudici e comunisti. Renzi, che è assai più lieve, l’ha risolta in battuta.

Regola 8. La sinistra per vincere deve prendere voti al centro. Di battuta in battuta Renzi ha percorso a grandi balzi l’ultimo tratto della china condivisa dalle sinistre europee di governo. Ha concluso la storia iniziata alla Bolognina. Stando ai sondaggi, potrebbe realizzare il vecchio sogno di prendere voti al centro. Hanno fallito Occhetto, D’Alema, Veltroni, Rutelli e pure Prodi. Lui potrebbe farcela

Regola 9. Di carisma non si campa. Sono decenni che l’immaginario politico nazionale è intossicato dalla promessa del leader salvatore. Renzi è l’ultima invenzione. Ammesso però che il suo sia carisma – ovvero un insieme di straordinarie virtù personali – il rottamatore, che è per nulla sciocco, si è presto dato al riciclaggio. Attirando a sé pezzi di notabilato nazionale e locale, porzioni e porzioncine di partito in cerca di futuro. Renzi potrà pur guadagnare di suo un po’ di voti al centro e anche a destra, ma deve assolutamente mantenere quanto più può del seguito tradizionale del partito. Alla trattativa partecipano anche gli altri candidati alla leadership. Benché la partita paia ormai decisa, restano in lizza per alzare il prezzo. Anche loro vogliono qualche poltrona. Cuperlo e Civati hanno imparato da lui la lezione.

Regola 10. I voti contano, le risorse decidono. Ovvero: per governare non basta vincere le elezioni. Su quali risorse può contare Matteo Renzi? Qui tutto è da vedere. Ma già adesso sappiamo che dappertutto anche i leader più volenterosi sono paralizzati. Visto che di carisma non si campa, Renzi sta firmando altre cambiali. Agli interessi che contano. Vincesse le elezioni, dovrà pagarle. Altro che leadership autorevole e dotata di capacità di decidere. Riuscirà Renzi a sottrarsi alle paludi d’impotenza in cui da tempo affonda ogni azione di governo? Le prescrizioni della troika continueranno a fioccare. I cittadini resteranno estranei alla politica e quindi scontenti. I sondaggi ne registreranno il malumore e gli faranno da cassa di risonanza. E inizierà tosto la caccia al nuovo salvatore. La campagna elettorale non si ferma mai. Nessuno nel frattempo si curerà di occupazione, servizi pubblici, Mezzogiorno. Non senza vantaggio per qualcuno, perché il non governo è un modo assai efficace e redditizio di governare.