Non è ancora crisi, ma ieri sera Matteo Renzi ha portato le lancette vicinissime al punto di rottura. La bomba fine di governo è innescata: «Se non cambia la legge sulla prescrizione entro Pasqua presenteremo la mozione di sfiducia su Bonafede». Segue una proposta di riforma costituzionale che blinderebbe la legislatura e manderebbe gambe all’aria la legge proporzionale, l’elezione diretta del premier, anzi del sindaco d’Italia: «È l’unico modo per uscire dalla melma». Con quale governo? «Due ipotesi: modello Nazareno con Giuseppe Conte premier oppure governo istituzionale».

Quindi un nuovo fronte, quello dell’economia, aperto dall’artiglieria: «Arriva la recessione e i posti di lavoro saltano. Dobbiamo sbloccare le opere pubbliche e se Conte vuole un piano shock parta dall’eliminare il reddito di cittadinanza». Un attacco spietato al Pd: «Sono come Lines notte: assorbono tutto. Sono diventati giustizialisti». E la sorte della legislatura: «Fino al 2021 non si vota».

LA MOSSA DI RENZI è più sottile di quanto non appaia. L’ex premier sa che la sua proposta di riforma costituzionale sarà respinta con perdite. Come sa che le sue ricette economiche, che dovrebbero essere illustrate oggi, non passeranno, perché i 5 Stelle non possono accettarle. Dunque sa che il tempo della sua permanenza nella maggioranza è scaduto. Ma non vuole essere lui ad alzare i tacchi e punta a essere messo alla porta: l’eterno «gioco del cerino». L’intera intervista con Bruno Vespa è studiata per esasperare un Pd già allo stremo della pazienza, dopo l’ennesimo voto di Italia viva con la destra, sul ddl Costa, in commissione Giustizia alla Camera. La minaccia della mozione di sfiducia contro il ministro Alfonso Bonafede, un gesto che renderebbe impossibile la convivenza nella stessa maggioranza con pentastellati indipendentemente dall’esito del voto, serve a far salire ancora di più la febbre.

CONTRARIAMENTE a quel che comunemente si pensa, però, Renzi spera proprio nei responsabili. Non vuole una crisi che porterebbe dritti al voto anticipato. Conta sui senatori forzisti vicini a Mara Carfagna, e ancor più su quelli «neodemocristiani» di Paolo Romani e Antonio Saccone, per evitare la crisi e lo scioglimento delle camere. Quei «responsabili» ci sono. Si stanno dando alacremente da fare per formare un gruppo, usando il simbolo benemerito dell’Udc. Non sono molti, salvo possibili defezioni dal gruppo di Iv: una dozzina, sufficienti per salvare Giuseppe Conte lasciandolo però barcollante. È quello a cui mira Matteo Renzi: un governo troppo debole per reggere ai colpi delle prossime regionali e di una temperie economica che si annuncia in effetti tempestosa. In giugno, a urne chiuse e, almeno secondo i calcoli renziani, a recessione incombente, quel governo sarà decotto e la proposta del ragazzo di Rignano, cestinata oggi, dovrà essere recuperata.

MATTEO SALVINI NON ESITA un secondo a respingere col dovuto sprezzo la proposta: «Non c’è niente di nuovo». Le reazioni dei 5 Stelle sono laconiche: «Bonafede non si tocca». Il Pd boccia in blocco la ricetta del suo ex segretario, con il capodelegazione al governo Dario Franceschini tra i più duri: «Renzi è come lo scorpione nella favola di Esopo». Cioè uccide la rana che lo sta salvando anche a costo di annegare.

Ma gli anatemi non bastano e il gioco del cerino coinvolge anche Conte. La sua contromossa è già pronta, almeno sulla carta. Si presenterà in parlamento ma non per chiedere una fiducia alla cieca. Squadernerà il Piano 2020-2023, una lista di provvedimenti per rilanciare l’economia, e su quello verificherà chi sta nella maggioranza e chi no. Per Renzi continuare a mitragliare il governo dopo aver sottoscritto con la fiducia quel programma non sarà possibile. E se negherà il suo apporto sarà lui a lasciare la maggioranza, col cerino bruciante fra le dita. I responsabili usciranno probabilmente allo scoperto allora, per garantire comunque al governo la fiducia. Poi si andrà avanti così, con una maggioranza ancora più debole ma tant’è. Questo passa il mercato.

CON UN’INCOGNITA però: il Movimento 5 Stelle. Sarà in grado di ingoiare una maggioranza con gli ex berlusconiani? Sui ministri non c’è dubbio: questo e altro. Tra i senatori il disagio è molto maggiore. Ma il guaio vero rischia di crearsi tra quel che resta della base grillina.