Il referendum ha innescato un processo di ristrutturazione delle forze politiche. La prima fase del processo – la “scomposizione” dei soggetti esistenti – è pressoché compiuta. La seconda – la “ricomposizione” in nuove aggregazioni – è in corso.

A destra si punta ad una quarta forza con una doppia funzione: complementare se si voterà per coalizioni, di cerniera tra FI ed il Pd se si andrà ad un governo di intese più o meno larghe.

A sinistra del Pd la situazione è più complessa: con la scomposizione si è creato un paesaggio affollato come mai prima ed oggi siamo, tra partiti e movimenti, vecchi e nuovi, a ben sette soggetti. Sarà possibile una ricomposizione addirittura in una lista unica?

Possiamo e dobbiamo provarci, ma tenendo conto che oggi ai tanti fattori storici e politici che hanno sempre reso difficile l’unità della sinistra se ne aggiungono due più contingenti.

Il primo è costituito dalla legge elettorale. La cosa non è secondaria perché i suoi contenuti – proporzionale o maggioritario, con soglia bassa o alta, con premio alle coalizioni o alle liste di partito – saranno determinanti per le alleanze e per le ricomposizioni dei partiti. Le forze di sinistra avrebbero tutto l’interesse ad avere presto la legge elettorale, ma le altre hanno l’interesse contrario. Ed a farne le spese sono le prime come dimostrano i travagli che dominano alcune relazioni come quella tra Pisapia e Art.1 e che, a catena, condizionano le altre forze rinchiudendo la sinistra in una trappola che paralizza e ritarda i processi di ricomposizione.

Il secondo fattore è costituito dal ruolo del Pd in questa fase. Dopo il referendum, Renzi questa volta non può perdere, pena la scomparsa dalla scena politica. Non solo, ma non può nemmeno essere costretto ad allearsi con chi egli ha fatto di tutto perché lasciasse il partito. Perciò ha bisogno di indebolire al massimo le forze alla sua sinistra e di affrontare le elezioni con un partito – macchina elettorale – sotto controllo. Ecco perché ha fatto una scelta organizzativa senza precedenti: quella di varare una struttura operativa, da lui nominata e da lui dipendente, che lo affiancherà nella campagna elettorale con ben 40 dipartimenti operativi. Insomma un amministratore delegato con un mega staff di 20 donne e 20 uomini che si occuperanno delle tante materie elettorali dalle mamme, alla difesa degli animali, alla lotta agli sprechi alimentari (naturalmente questi dipartimenti sono affidati a donne) allo sviluppo economico, all’urbanistica, all’agricoltura…. Un modello organizzativo di tipo aziendale che porta a compimento la sua idea di partito e che dimostra che egli si sta preparando ad una campagna elettorale decisiva.

Se questa è la partita, poiché il Pd gode di una maggioranza c’è da essere certi che la legge elettorale sarà il più possibile penalizzante per le forze di sinistra.

Le forme concrete che essa assumerà dipenderanno anche dagli altri partiti, ma alcune si sono già intraviste: voto unico senza scorporo in caso di proporzionale con voto di lista e di collegio in modo da far scattare il voto utile al Pd ed inutile alla sinistra, listone Pd che incorpora la parte affidabile della sinistra relegando a testimonianza minoritaria l’altra sinistra, coalizione, se vi sarà costretto anche dalle manovre in corso nelle minoranze interne, ma sotto il suo comando e quindi con chi ci sta per scommettere sul 40% e se non ci riesce avere la scusa per una alleanza “necessaria” con Berlusconi. In ogni caso, dovrebbe essere evidente che, preso atto che non è più in grado di sfondare al centro, tutte le energie del Pd saranno concentrate a depotenziare la sinistra per evitare ulteriori perdite in quella direzione.

Se questo è lo scenario, alla sinistra serve una via d’uscita che non la releghi ad un ruolo passivo, di attesa, subordinato. La lista unica adesso sarebbe una fuga in avanti, ma tra questa e l’attesa passiva può esistere un’altra strada: quella di creare rapporti tra i principali soggetti che rafforzino i legami, accrescano le convergenze sui contenuti, preparino al meglio uno sbocco organizzativo unitario.

I mesi che abbiamo davanti sono pochissimi. Le decisioni definitive probabilmente dovranno essere prese tra sei mesi. Ma a partire da oggi si potrebbero fare alcuni passi in avanti come creare, a partire da Art.1 e SI, un tavolo di consultazione permanente per assumere decisioni comuni in Parlamento e fissare un minimo comune denominatore politico per il futuro (sostegni al reddito per incentivare riduzione degli orari e redistribuzione del lavoro, progressività fiscale sui redditi e sui grandi patrimoni per fare investimenti pubblici volti ad affermare il diritto al lavoro, ripristino dei diritti nel lavoro …).

Se a tutto questo si aggiungesse l’impegno a fare delle Conferenze programmatiche dei diversi soggetti, da Sinistra Italiana ad Insieme ed Mpd all’alleanza per la democrazia e l’eguaglianza, occasioni di confronto comune si farebbero ulteriori passi avanti per arrivare al momento in cui si dovranno sciogliere tutti i nodi e decidere se allearsi, con chi e per fare cosa.