Un cinguettio. Due parole su Twitter per liquidare la giostra che da due giorni agita il Palazzo: «Che noia il rimpasto». Così Matteo Renzi, dopo un’ora di colloquio sul Colle. Rimpasto, Letta-bis, braccio ferro sulle poltrone? Il rottamatore non si scalda: «Roba da prima Repubblica. Vi prego, parliamo di cose concrete».
Non sono parole spese a caso. Tra il sindaco-segretario e il premier è in corso una discreta ma feroce partita a scacchi, con la longevità del governo come posta in gioco, e nelle rispettive strategie il rimpasto riveste importanza e significati opposti. Per Letta il passaggio è utile e necessario se fatto con tutti i sacrosanti crismi: richiesto ufficialmente dal Pd, concordato in parallelo col prgramma, portato a termine in fretta, prima di quel 27 gennaio che segnerà l’inizio del dibattito sulla legge elettorale. In questo modo, il «segretario giovane» finirebbe legato a filo triplo al governo, e per Letta le chance di arrivare al 2015 si moltiplicherebbero. Non a caso, da Città del Messico, il presidente del consiglio traballante si lancia in un peana: il 2014 sarà l’anno della grande possibilità di uscita dall’annosa crisi.

Ma farsi impastoiare è l’opposto esatto di quel che vuole Renzi. Molto meglio muoversi con calma, evitare impegni troppo stringenti fino a quando la nebbia che grava sulla riforma elettorale non avrà almeno cominciato a diradarsi. Molto meglio, soprattutto, partire dalle «cose concrete», un po’ perché richiedono più tempo di un semplice ricambio di poltrone, e un po’ perché, a volte, ridistribuire i posti è più facile che non assumere impegni di programma. Ci si trova per l’appunto di fronte a uno di quei casi.
Il rimpasto è comunque nell’ordine delle cose, con la ministra De Girolamo sotto tiro e il collega e capo Alfano che, dopo lo sgambetto di Procaccini sul caso Shalabayeva, rischia forte di finire sfrattato dal Viminale.

Del resto di rimpasto, nei palazzi, si parla già da tempo, da ben prima che Renzi ascendesse alla segreteria. C’è il socialista Nencini che scalpita in pole position. C’è il centrista Tabacci che fa anticamera da un pezzo e il fattaccio De Girolamo pare fatto apposta per spalancargli l’Agricoltura. C’è Epifani che merita un benservito per la sua segreteria-ponte: perché non offrirgli, al Lavoro, il posto di Giovannini, che in fondo non ha dato prova memorabile. C’è la necessità di promuovere qualche renziano per legare il segretario al poco amato esecutivo, e nella squadra se ne conta uno solo, Delrio. Potrebbe sostitire Zanonato allo Sviluppo. Ci sarebbe anche il posto chiave del ministro dell’Economia Saccomanni, ma è troppo caro a Giorgio Napolitano per rimpastarlo.

Facile che, per forza di cose, il ricambio della squadra prima o poi arrivi. Ma non porterà la firma di Renzi. Quanto al programma, lì saranno invece dolori perché il sindaco non ha alcuna intenzione di mollare sulle unioni civili e la revisione radicale della Bossi-Fini, mentre Alfano scopre ogni giorno di più di essere finito in una trappola che gli svuoterebbe il già scarno forziere di voti.

Ma neppure il programma è la vera posta in gioco. La sola cosa davvero «concreta» in campo è la legge elettorale. Di questo hanno parlato ieri Renzi e il capo dello stato, e Napolitano non ha frenato l’impeto del segretario. Per il Colle l’importante è che il percorso parta sul serio. Che poi finisca il 25 marzo, in tempo per votare a maggio, o dopo, sembra ormai quasi secondario. Il momento della verità si avvicina. Al presidente il sindaco di Firenze ha presentato una data precisa: di qui a una settimana al massimo il Pd farà la sua proposta ai centristi di Alfano. Forse anche prima, dato che già da ieri Renzi è impegnato in una sequenza di vertici con i gruppi parlamentari che potrebbe portare alla formalizzazione della proposta già nella direzione di giovedì prossimo. Poi tutto sarà nelle mani di Alfano. Se accetta la rincorsa bene. Se fa cenno di voler perdere tempo, Renzi passerà immediatamente a trattare con Berlusconi sulla base del «modello spagnolo».

Se la tattica è efficace la strategia qualche problema lo crea. L’unico modo per stanare Alfano è proporgli il doppio turno, ma tra i renziani quel modello gode di scarsa popolarità. È vero che tutti si aspettano che Alfano giochi al rinvio e risolva il problema. Ma che fare qualora, pur di evitare l’intesa Renzi-Berlusconi che lo stritolerebbe, si rassegnasse a correre pur di incamerare il doppio turno?