Il Dipartimento di stato e il Pentagono hanno detto sì. L’Italia sarà l’unico paese del mondo, dopo la Gran Bretagna, a ricevere dagli Stati uniti missili e bombe per armare i propri droni, rendendoli in grado di uccidere. La notizia, raccolta dalla Reuters e ripresa dai principali giornali italiani, cade nel più totale silenzio della politica.

Sponsor forte dell’operazione è il segretario di stato John Kerry, che fin dal 2012, quando era senatore, si espresse ufficialmente a favore della vendita all’Italia. Il Congresso, secondo il principio del silenzio assenso ha ora 15 giorni per opporsi alla decisione del governo Obama ma è decisamente improbabile che lo faccia.

Da quel momento, la palla sarà tutta in mano a Palazzo Chigi, che presumibilmente dovrà firmare i numerosi protocolli «riservati» previsti nella vendita. Secondo Reuters il governo degli Stati uniti acquisterà da General Atomic e poi rivenderà all’Italia 156 missili AGM-114R2 Hellfire (prodotti dalla Lockheed Martin), 20 bombe GBU-12 a guida laser, 30 bombe GBU-38 JDAM e altri armamenti per un contratto stimato inizialmente in 129,6 milioni di dollari (119 milioni di euro). L’Italia potrà così armare 2 droni Mq-9 Reaper con 14 missili aria-terra e 2 bombe per ogni missione. I Reaper sono 9 volte più potenti e il doppio più veloci dei più conosciuti Predator.

Alle munizioni, vanno aggiunti almeno altri 30 milioni di euro per l’addestramento del personale e l’aggiornamento del software impiegato. Ed è praticamente certo che, vista la palese considerazione del nostro paese a Washington, saremo casualmente anche tra i primi ad acquistare dal 2018-2020 l’evoluzione del Reaper, il Predator B-RPA, spendendo altre centinaia di milioni di euro in armamenti d’attacco. Inoltre, va ricordato che la richiesta italiana riguardava l’armamento di 6 Reaper e dunque non è escluso che le fatture verso Washington possano lievitare nel prossimo futuro dopo il primo via libera.

Sono quattro anni che l’aeronautica aspetta. La richiesta fu avanzata dal governo Berlusconi nel 2011 ed è stata ripetuta da tutti gli esecutivi successivi (Monti, Letta e Renzi) nel silenzio totale del parlamento.

Oggi l’unica voce critica viene da Donatella Duranti di Sel: «Siamo contrari – dice la capogruppo in commissione Difesa alla camera – all’acquisto di strumenti di guerra che hanno poco a che fare con la difesa e che hanno un margine di errore tra obiettivi militari e civili molto alto. Chiediamo al ministro Pinotti di venire a riferire urgentemente in aula perché il Parlamento e il Paese hanno il diritto di valutare l’opportunità di acquistare droni armati, sapere a cosa serviranno e come e per quali finalità verranno impiegati».

Intervistato dall’Adnkronos, l’ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Leonardo Tricarico esulta: «Non si ha ancora la percezione del ruolo fondamentale che i droni ricoprono nei moderni conflitti asimmetrici. La dottrina militare andrà sicuramente riscritta da capo. I droni possono agevolmente svolgere missioni di contrasto alle organizzazioni criminali che lucrano sull’immigrazione». Tricarico è sicuro: «Sarebbe un gioco da ragazzi per l’Aeronautica, che utilizza i droni da undici anni, distinguere le unità impiegate per la pesca da quelle usate per organizzare i viaggi dei migranti, grazie alle capacità di intelligence assicurate da mezzi che possono garantire una permanenza praticamente illimitata sopra l’obiettivo».

E in un’intervista al sito Lettera43 il generale è ancora più esplicito: «Un piccolissimo drappello, composto da meno di 10 persone, al riparo da occhi indiscreti, ha già imparato a usare le nuove armi».

Peccato per il generale, però, che i Drone papers pubblicati qualche giorno fa da the Intercept dimostrino esattamente il contrario. Il bilancio della guerra «senza pilota» è desolante secondo i documenti riservati dello stesso Pentagono diffusi da Greenwald e Poitras: il 90% delle vittime è non identificato o errato, certamente non l’obiettivo originario.

Recentemente, anche Mario Platero sul Sole 24 Ore ha rilanciato tutte le critiche nell’uso militare dei droni, che l’Italia potrà usare per uccidere solo in stretto raccordo con gli Usa.

“Cabina di pilotaggio” del Reaper nella base italiana di Amendola (FG)

L’impiego dei droni killer nel Mediterraneo, almeno nel breve termine, è avvalorato da un’altra decisione di ieri degli Stati uniti riportata da El Pais: il dislocamento di 5 enormi droni Global Hawk da ricognizione nella base (guarda caso) di Sigonella.

In Europa i Reaper ce l’hanno solo Italia, Francia, Germania e Gb. La Francia li ha dislocati, disarmati, in Sahel e Londra li usa in Iraq.

L’autorizzazione di Washington a Roma sembra spezzare questo fronte politico-economico, facendo dell’Italia un rompighiaccio, come già accaduto per F35 e Eurofighter.

Non è un caso, forse, che a maggio i ministri della Difesa di Italia, Francia e Germania hanno firmato un protocollo  che prevede entro il 2025 la produzione di un drone militare tutto made in Europe, la prima embrionale dichiarazione di affrancamento dalla tecnologia militare Usa.

I Reaper italiani sono guidati dal 28° gruppo «Streghe» del 32° Stormo dell’Aeronautica Militare di Amendola, nel Gargano (Foggia).

Il simbolo del 28mo stormo
Il simbolo del 28mo stormo “Streghe” di Amendola

Hanno alle spalle un’attività molto intensa per la quale  il 4 novembre scorso sono stati premiati dal presidente Mattarella: Afghanistan, Iraq, Mare Nostrum, Kosovo, monitoraggio anti Isis dal Kuwait, perlustrazioni anti-pirateria nell’Oceano Indiano e Corno d’Africa da Gibuti. Ma contrariamente al senso comune hanno già volato anche nei cieli italiani. Anzi, secondo un accordo siglato un anno fa tra Aeronautica Militare, Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri i Predator (non armati) possono essere impiegati «per controllare manifestazioni, stadi, strade, autostrade e sorvegliare aree specifiche». Nel 2007 i Predator hanno sorvegliato il vertice Russia-Italia a Bari e nel 2009 il G8 all’Aquila (qui la scheda su come funziona un drone militare).

Secondo fonti americane non confermate, sarebbero stati impiegati anche in Sicilia in operazioni anti-mafia.

Amendola e Sigonella sono insomma le due basi italiane dei droni.

Ma è sulla Puglia, soprattutto, che punta l’Aeronautica. Lavori di potenziamento e adattamento al volo notturno avviati a maggio scorso renderanno Amendola uno dei più importanti aeroporti militari italiani.

Se la politica fa finta di non sapere, la Difesa invece si muove per tempo.

Aggiornamento del 6 novembre alle ore 10

La ministra Roberta Pinotti ha risposto così in una intervista al Corriere della Sera.

Domanda: Gli Usa hanno dato il via libera all’armamento di due droni Reaper. Abbiamo intenzione di usarli?

Risposta: “La richiesta italiana agli americani è stata motivata anche da un sentimento di dignità nell’alleanza. L’abbiamo reiterata perché pensiamo di essere abbastanza adulti per decidere noi come usarli. Non abbiamo bisogno di badanti. Naturalmente effettueremo uno studio tecnico e i passaggi parlamentari che si dovessero rendere necessari”.

Un MQ9 Reaper italiano foto ufficiale pentagono
Un MQ9 Reaper italiano