Non lo dice questa sera Marco Minniti, ma che si candidi alla segreteria del Pd è strasicuro: circondato dalla guardia scelta dei renziani post 4 marzo, seduto con il sindaco Nardella da una parte e Renzi dall’altra, l’ex ministro dell’interno dovrebbe fuggire molto lontano, se solo pensasse in questo fine settimana, all’assemblea Pd all’Ergife, di fare il gran rifiuto.
Tutto è talmente palese che il senatore di Scandicci si sente in dovere di fare, una tantum, professione di understatement: «Minniti saprà cosa fare, non gli manca l’indipendenza e l’autonomia». Poi però Renzi, al solito, esagera: «Se scioglierà la riserva lo dirà lui. Il servizio migliore che posso dare è quello di non cercare, né di mettere il cappello, sulla candidatura». Ma la Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, per la presentazione del libro “Sicurezza è libertà”, è piena dei petali superstiti del giglio magico. Ed è piena anche di giornalisti, fra i quali spiccano gli animatori dei talk show serali sulle tv nazionali. Sono le prove di una decisione già presa, a cui manca solo l’ufficialità.
Secondo gli ultimi retroscena, Minniti dovrebbe candidarsi annunciando il ticket con Teresa Bellanova, che si è fatta notare all’ultima Leopolda e poi nel recente conclave renziano a Salsomaggiore. Intanto l’ex ministro inquadra nel suo mirino il governo giallo-verde. Prima lo fa in ottica europea: «In questa sfida che va ben oltre i confini dell’Italia – osserva in proposito – l’Italia può rappresentare un riferimento, oggi più che mai, per dire che c’è una via democratica forte, appassionata e coinvolgente, per sconfiggere i nazionalpopulisti». Poi il secondo attacco, diretto: «I nazionalpopulisti che stanno governando l’Italia in questo momento fanno finta di ascoltare i cittadini impauriti, ma il loro obiettivo è tenerli incatenati alle loro paure: basta guardare questi cinque mesi di governo».
Un pensiero particolare va al ministro Toninelli: «Nella totale disconnessione con la realtà – continua Minniti – può accadere che chi insegue il nemico politico non capisca che un ministro non può esultare dopo un voto in Parlamento. Dopo il crollo del ponte Morandi, un governo degno di questo nome unisce le forze, lavora nella maniera più unitaria possibile per ricostruire, lancia una grande campagna di manutenzione su quello che può non reggere. Hanno fatto l’opposto, hanno identificato il nemico politico verso cui indirizzare la rabbia. Poi hanno talmente accarezzato la rabbia, che questa ha colpito anche loro».
C’è spazio anche per un autocritica sugli anni di governo, e sulla situazione attuale che vede il Pd fermo al 18%. Ma tutto è in sintonia con il Minniti style: «In Italia perdiamo perché non abbiamo saputo rispondere a due sentimenti che stanno dentro il cuore del cittadino: la rabbia e la paura. Se c’è un cittadino che ha perso il lavoro, che è preoccupato perché i figli non lo trovano, la risposta non può essere che le cifre sono cambiate, e che abbiamo messo segni più dopo anni di segni meno. La risposta è vera, ma non sufficiente. Se uno ha paura perché ha subito un furto in casa e io dico che i furti sono calati, ed è vero, quella statistica non risponde però al dolore della propria casa violata».
Infine un occhio alla corsa alla segreteria Pd, che nei sondaggi vede al momento Nicola Zingaretti prevalere su Minniti di tre punti percentuali. E qui interviene Renzi: «Non passerò i prossimi tre mesi a dire come sconfiggere Zingaretti, ma come sconfiggere la cialtronaggine di Di Maio, Salvini, e di quel passante chiamato presidente del consiglio». Sempre elegante il Bomba.