«Chi va a Palazzo Chigi lo decidono i voti degli italiani, non i giornalisti e neanche le speranze dei militanti». Matteo Renzi non l’ha presa bene e non riesce a dissimulare. Da giorni i retroscena di stampa lo descrivono come un leader debole, isolato nel suo partito, accerchiato dagli ex amici. Oggetto di una manovra a tenaglia che da destra (Berlusconi) a sinistra (Orlando, Pisapia) passando per il Pd (Franceschini, Delrio) fino ai suoi fondatori (Prodi, Letta) lo vorrebbe fare capitolare di fronte alle detestate (dai lui) coalizioni. Prossimo alla sconfitta alle elezioni regionali della Sicilia. E persino alle dimissioni da segretario.

Lui neanche a dirlo non ci sta, la sua determinazione a tornare a Palazzo Chigi, per quanto ogni giorno meno realistica, è ancora granitica. E quelle dei giornali sono solo manovre di carta contro di lui. Anche perché, è sicuro, gli avversari interni «non hanno i numeri», come spiega un renziano di rango, e lui invece «è stato eletto da due milioni di persone alle primarie». Dunque nessuno si faccia illusioni su un suo ravvedimento operoso: lo ha fatto capire ieri a Agenora, periferia di Napoli, dove ha presentato il suo libro Avanti e risposto alle domande dei ragazzi. «Nel frattempo vorrei chiedere di dare il massimo appoggio a Paolo Gentiloni. Io l’ho fatto il premier, so cosa vuol dire lavorare con i gufi».

Per smontare le ambizioni dei (presunti) congiurati, Renzi replica ruvidamente a quanti nel suo partito gli chiedono di riaprire la porta alle alleanze mettendo mano alla legge elettorale. In privato aveva spiegato ai suoi collaboratori che se mai in autunno si riaprirà la partita delle legge elettorale, si riaprirà sul sistema tedesco, o similtedesco come quello abortito a primavera. Ieri Renzi sceglie di dirlo chiaro: «Il premio alla coalizione? È un dibattito assurdo». Il premio «c’è già al Senato».

Dunque il Pd formalmentenon  si schioda dalla proposta di bandiera del Mattarellum, sul quale comunque è tranquillo che i voti in parlamento non ci sono.

Ma il segretario Pd non può ignorare i ripetuti appelli del presidente Mattarella per una intesa delle forze politiche sulla legge elettorale, o almeno non può farlo apertamente. «Dopo le ferie bisogna andare ad un accordo che comprenda tutte le forze politiche». Ma la palla ora sta alle opposizioni, «Noi abbiamo fatto diverse proposte, ma ce le hanno bocciate tutte. Ora, se ci sono proposte di altri noi siamo pronti a discutere».