“Io non ho rubato un centesimo, questo è un processo politico alla politica”. Gioca in casa e anche sul velluto Matteo Renzi, che per la prima volta in undici edizioni della Leopolda interviene in solitaria anche di sabato. Per parlare di giustizia e dell’indagine sulla “sua” fondazione Open, inchiesta nella quale è indagato con l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti. Ad ascoltarlo una platea attenta e tutta con lui. Perché oltre a credere nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards, rievocati 24 ore prima con il monologo di Stefano Accorsi nel film Radiofreccia, leopoldine e leopoldini credono in lui. A tal punto da ridurre l’inchiesta Open a “bolla di sapone”, e accettare perfino le relazioni con il saudita Mohammad bin Salman, che l’intelligence americana ritiene mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi.
Se anche i fasti del passato, quando alla Leopolda si faceva a cazzotti per entrare, omaggiare ed entrare nelle grazie del leader del 40% alle europee, sono lontani visto il 2-3% che i sondaggi accreditano a Italia Viva, Renzi sa di restare figura centrale dell’attuale legislatura. E lo rivendica: “Siamo noi l’ago della bilancia”. Sia nella partita del Quirinale che nelle manovre verso le elezioni politiche. Da lui preconizzate nel 2023 e quindi alla scadenza naturale del Parlamento. Non prima, di qui le accuse a Pd e M5S, Lega e Fdi di spingere per elezioni anticipate. Perché Renzi ha bisogno di tempo per andare oltre la piccola Iv e costruire il “centro”. Non il centro del centrosinistra, lì c’è già il copyright del segretario dem Enrico Letta. Piuttosto un “centro” che, anche grazie al Rosatellum, attragga “i riformisti, gli europeisti, i moderati”. Insomma un centro macroniano. Benedetto Della Vedova di +Europa dà subito la sua benedizione dal palco, e così fa Emilio Carelli di Coraggio Italia. Non il sindaco milanese Beppe Sala. Piuttosto quello che fa Renzi è anche un perfetto identikit degli elettori berlusconiani che, da tempo, non ne possono più di Matteo Salvini e Giorgia Meloni.
L’urgenza del momento porta comunque il senatore di Scandicci a puntare i riflettori sui suoi guai con la giustizia. E, complice la “scivolosità” di reati come appunto il finanziamento illecito, Renzi gioca facile: “Chi decide che cos’è politica e che cosa non è? – chiede retoricamente – nei Paesi democratici lo decide il Parlamento. Dove lo decidono i magistrati penali non si definisce correttamente il sistema democratico, se è un giudice a decidere, la libertà democratica è a rischio”. E ancora: “Il pm dice che alla Leopolda si svolgeva un’attività di un partito o di una corrente di un partito. Incredibile, ho sempre detto che non farò mai una corrente dentro un partito, piuttosto faccio un partito e restituisco la tessera: fatto. E ora mi accusano di voler fare una corrente”.
A dargli manforte sono arrivati alla Leopolda sia Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle camere penali, che l’ex magistrato Carlo Nordio, un tempo acerrimo avversario del pool di Mani Polite. Caiazza non ci va leggero: “Quello che sta segnando la storia di questo Paese da 25 anni a questa parte è che uno dei tre poteri dello Stato, il potere giudiziario, ha esondato dai propri limiti costituzionali”. Nordio rincara la dose: “Il pm italiano è l’unico organismo al mondo che ha un potere immenso senza responsabilità, lui indaga su chiunque senza rispondere a nessuno perché gode delle stesse guarentigie del giudice. È una cosa demenziale”.
Va da sé che la platea leopoldina, anche oggi esaurita e con i tanti esclusi affollati al maxischermo esterno, va in brodo di giuggiole quando il leader tuona: “Garantismo significa giustizia, giustizialismo significa negazione della giustizia”. Con più fatica, sopporta anche di vedere fuori dalla Leopolda il flashmob di Firenze città aperta e di Sinistra progetto comune sul tema Bin Salman. “Italia Viva, coscienza morta”, c’è scritto sui cartelli, e i manifestanti aggiungono: “Non si può permettere a Renzi, viste le sue frequentazioni, di parlare di reddito di cittadinanza come reddito di criminalità”. Disarmante la replica dei pro-Renzi: “In Arabia Saudita ci vanno tutti i leader. Anche Letta”.