Di buon mattino il countdown per il primo cruciale, delicatissimo tavolo fra le delegazioni Pd e M5S è già partito – sarà alle 14 – ma sotto quel tavolo già esplode la prima mina. È fragorosa. Vuole azzoppare una delle parti.

È un audio «rubato» dalla scuola di formazione di Matteo Renzi, in corso al Ciocco, in Garfagnana. Vi si vede il senatore nei panni del professore di politica che «spiega» un episodio del giorno prima: Repubblica.it e Huffington post hanno pubblicato un retroscena sui tre «veri» paletti del Pd per trattare con M5S. I giornalisti, dice Renzi ai ragazzi, apparentemente ignaro di essere ripreso – la scuola è a porte chiuse, i cellulari restano fuori – «hanno riportato uno spin proveniente dal Nazareno. In realtà ha un nome e un cognome, Paolo Gentiloni», «Il modo con il quale lo spin è stato passato è finalizzato a far saltare tutto».

L’accusa all’ex premier è un macigno: «Gentiloni oggi (l’audio risale a giovedì, ndr) era al Colle ma non ha aperto bocca», ma poi quello che pensava «lo ha detto tramite giornali».

LA LEZIONE PROSEGUE, il finale è da fuochi artificiali: «Nel Pd, ove fosse la rottura, sarà un caos. Se uno contravviene le regole interne e con un spin fa saltare tutto non è detto che il Pd arrivi tutto insieme alle elezioni». A parte l’ipocrisia sull’uso degli spin (quando era segretario e premier i suoi erano persino un genere giornalistico) quella di Renzi è una minaccia. O meglio un segreto di pulcinella che, davanti alla platea dei piccoli renziani in formazione, vuole sottolineare. Ma soprattutto è un regalo alla controparte grillina. Perché è vero che quei tre paletti erano stati interpretati dai trattativisti dem come una complicazione sulla strada dell’accordo, ma è anche vero che rendere plateale la minaccia di «caos Pd» in caso di voto indebolisce gli sherpa dem.

E infatti. Nel pomeriggio, mentre il tavolo è riunito, batte un colpo Alessandro Di Battista. È l’incendiario dei 5 Stelle, vuole il voto per tornare in parlamento e scalzare la già morente leadership di Di Maio. Il suo è un colpo di clava: «Se si andasse al voto il Pd ci arriverebbe spaccato in 2,3 o 4 pezzi», l’allusione alle parole di Renzi è chiara, «Tutti ci cercano. Alziamo enormemente la posta».

I renziani sono in imbarazzo, «quello che ha detto Matteo su Paolo è giusto nei contenuti, ma sbagliato nei tempi», viene spiegato. Renzi invece non è pentito delle sue parole. Davanti ai ragazzi finge un rimprovero per aver fatto filtrare la lezione di renzismo, ma poi firma la rivendicazione: «Non ho nessun timore a dire quello che penso» e «ho sempre difeso lo streaming».E c’è chi scommette che a far uscire l’audio sia stato proprio lui. Per dimostrare che c’è una parte del Pd – quella che fa capo a Gentiloni e al segretario Zingaretti – che vuole sabotare l’accordo. Solo che la mossa rischia di trasformarsi in un clamoroso autosabotaggio. Il senatore del resto è ingombrante per la base 5 stelle, lo dimostrano gli attacchi che Grillo gli scaglia dal blog.

IN SERATA DAL NAZARENO arrivano rassicurazioni: i tavoli tematici per il programma partono subito. Serve solo il confronto fra i due capi partito e arriva la notizia di una cena tra Zingaretti e Di Maio. Ma nel Pd ormai coabitano due partiti e il senatore di Scandicci è il leader di quello i cui parlamentari hanno poca speranza di essere rieletti. Quello a cui serve tempo per la scissione. Per questo ha bisogno che il governo Pd-M5S nasca a qualsiasi prezzo. Senza condizioni.

Non a caso è stato Renzi il primo a dire sì al taglio dei parlamentari, a cui il Pd ha votato tre volte no, e sì al Conte bis, a cui Zingaretti dice no. Quella del senatore è una trattativa parallela che azzoppa il lato dem del tavolo. Ma il rischio è che questo doppio canale faccia impazzire la maionese, e così il continuo tentativo di delegittimare il segretario.

Zingaretti nel pomeriggio emette una nota durissima: «Non è mai esistita nessuna manovra del Presidente Gentiloni per far fallire l’ipotesi di un nuovo Governo» scrive, il Pd è unito nella mission impossibile del nuovo governo ma «torno per a fare un appello alla responsabilità: fondamentale per raggiungere questo obiettivo è fermare questo continuo proliferare di comunicati, battute, interviste che, questi sì, mettono tutto a rischio e logorano la nostra credibilità».

Da Ravenna, dove si inaugura la festa nazionale del Pd, Stefano Vaccari rassicura i militanti: «Zingaretti ha saldamente in mano la direzione di questo percorso». Il solo fatto che il capo dell’organizzazione del partito debba ribadirlo dice tutto.