«Tra la nostra proposta e la vostra non c’è il Rio delle Amazzoni, c’è un ruscello. Anche se non è detto che riusciremo a colmarlo». Matteo Renzi appare conciliante con gli esponenti del Movimento 5 Stelle che siedono dall’altra parte del tavolo e, dopo un’ora e mezza di faccia a faccia trascorsa dando le spalle alla telecamera che offre a Beppe Grillo la possibilità di seguire da casa la diretta streaming, incassa soddisfatto le aperture ottenute «su molti punti, come ad esempio sul ballottaggio». Aperture che anche il Pd ha concesso, benché siano «tutte da verificare», dice il vice presidente della Camera Luigi Di Maio, a capo della delegazione, che non nasconde la delusione: «Lenti, devo dire, hanno rimandato ad un altro tavolo… dopo 25 giorni di gestazione dal primo. Non gli lasceremo spazio – scrive in un post su Fb – per alibi o perdite di tempo». Ma sulle riforme costituzionali (immunità parlamentare, elezione del presidente della Repubblica, referendum, riforma del Titolo V sulla Sanità) e sul nuovo Senato non elettivo tra i due partiti non c’è il Rio delle Amazzoni, c’è un oceano.

Un mare che il premier vorrebbe attraversare in fretta perché, spiega, le riforme costituzionali «ragionevolmente in 15 giorni si chiudono» al Senato. Ma Di Maio taglia corto e visto che sull’immunità Renzi glissa rinvia a «dopo la legge elettorale» la discussione in merito, fermo restando i punti ritenuti irrinunciabili della riforma. Per ora la priorità dei pentastellati è una legge elettorale che garantisca «la stabilità evitando le ammucchiate» e la crisi provocata «dai partitini». Ecco dunque che i cinque punti su cui si basa la proposta di legge elettorale del M5S, messa nero su bianco in un promemoria consegnato ai quattro rappresentanti Dem (Renzi, Roberto Speranza, Alessandra Moretti e Debora Serracchiani), sono finalizzati a «stabilità, buona politica e partecipazione».

Cinque punti – «reintroduzione dei voti di preferenza, i cittadini dopo 8 anni tornano a scegliere; Parlamento pulito, mai più condannati in Parlamento; no alle candidature plurime, basta politici a tutti i costi; zero sbarramento, garantiamo a chi perde di rappresentare i cittadini; doppio turno di lista (non di coalizione, ndr), chi vince al secondo turno governa con il 52%», a cui si aggiunge la sesta richiesta del vaglio di costituzionalità preventivo della legge da parte della Consulta – che il segretario del Pd promette di verificare «da qui al primo agosto», «se c’è da fare passi avanti». Renzi pensa alle preferenze, sulle quali, dice, «dobbiamo capire se riusciamo a trovare un punto di caduta o meno». Il premier concorda sul «Parlamento pulito» e si dice pronto ad «aprire il dibattito con gli altri partiti» sulle candidature plurime anche se «io non sono d’accordo, sono i piccoli partiti a volerle». La proposta del doppio turno di lista invece gli piace molto, mentre «sulla soglia del 52% vediamo: non è un punto centrale, ma c’è un principio». Per un «accordo più ampio», però, la questione non è di facile soluzione per Renzi: «Perché è giusto che voi ci stiate – dice rivolto a Di Maio, ai due capigruppo Paola Carinelli e Vito Petrocelli, e all’estensore del Democratellum, Danilo Toninelli – ma che ci stiano anche gli altri».

Ed è evidente il nervo scoperto sull’immunità: «Disponibili a parlarne se c’è l’accordo di tutte le forze politiche», concede Renzi. La battuta grillina è inevitabile: «Deve andare ad Arcore a chiedere il permesso?». «Finché non riconoscerete la differenza fra il partito di Arcore e il nostro non capirete perché il vostro “vinciamo noi” è diventato “vinciamo poi” – è la risposta – Il Pd non accetta lezioni sull’immunità parlamentare: abbiamo votato per l’arresto di un nostro collega».

Così, tra una battuta sui chili in più del premier e sul partito «braidipo», si dipanano le prove tecniche di confronto parlamentare. «Se sono rose fioriranno», si augura il premier lanciando un ultimo invito: «Non potete dire prendere o lasciare. Ve lo suggerisco con la massima umiltà, neanche noi lo diciamo, e abbiamo il doppio dei vostri voti».