«Renzi faccia un gesto, dia un segnale» continuavano a chiedere all’ex segretario i pontieri «non rassegnati» alla scissione, come ancora ieri Cuperlo davanti alla direzione già monca. E Renzi ha fatto più di un gesto, ha dato più di un segno. Di soddisfazione. Per lui non si deve nemmeno parlare di scissione, ma di «fuoriuscita». «Se qualcuno vuole lasciare la nostra comunità, questa scelta ci addolora», concede. Nulla di più. Ma il dolore dura appena una riga, perché immediatamente l’ex segretario guarda già oltre. «Tuttavia è bene essere chiari: non possiamo bloccare ancora la discussione del partito e soprattutto del Paese. È tempo di rimettersi in cammino. Tutti insieme, spero, ma in cammino. Non immobili», scrive nella enews, dove ripropone la sua versione della lite nel Pd: «Si sarebbe evitata la scissione se solo io avessi rinunciato a candidarmi».

È successo l’opposto. Pur di candidarsi in fretta per recuperare la sconfitta del 4 dicembre, Renzi ha messo in conto una scissione che non considera affatto un problema. L’importante è che gli riesca di raccontarla come una semplice «fuoriuscita» di ex dirigenti. D’Alema, Bersani… «il destino del Pd e del Paese è più importante del destino dei singoli leader», scrive. Per questo non ha replicato alle richieste di mediazione che in tanti gli hanno fatto in assemblea. E non ha fatto nulla per trattenere Emiliano, se non aspettare che le giravolte del presidente della Puglia si depositassero a terra. Guadagnando così quell’indispensabile sfidante per presentare congresso e primarie come due sfide vere.
Così come non ha replicato in assemblea domenica scorsa, Renzi non si è neanche presentato alla direzione di ieri. «Non è più segretario», lo hanno difeso i suoi. Non avrebbe più dovuto fare la relazione, ma avrebbe potuto intervenire e ascoltare. Ha preferito partire per la California, annunciandolo sul blog. Prima tappa della sua campagna elettorale.

E così il never ending tour dell’ex presidente del Consiglio è stato fermo solo due mesi e mezzo. Dalla sconfitta al referendum costituzionale a ieri. Adesso riparte per vincere il congresso e subito dopo per le elezioni politiche. La campagna elettorale perenne è la cifra di questo leader politico (come di Berlusconi prima di lui). E il partito esiste solo in quanto macchina elettorale. «Per vincere il congresso non basta arrivare primi – scrive ancora. Bisogna vincere nel consenso, certo, ma anche vincere esprimendo idee, sogni, partecipazione. Il dibattito del Pd vi ha stancato? Bene, aiutateci a ribaltarlo». La tappa californiana serve a questo: «Priorità imparare da chi è più bravo come creare occupazione, lavoro, crescita nel mondo che cambia, nel mondo del digitale, nel mondo dell’innovazione». Poi il vero debutto nel luogo simbolo del Lingotto fiere, a Torino, sulle orme di Veltroni dieci anni dopo, dal 10 al 12 marzo. «Abbiamo già ricevuto oltre mille email di idee, suggerimenti, proposte. Vi sono grato per questa esplosione di entusiasmo», scrive Renzi. Non proprio la prosa di un leader addolorato. Riprenderà anche le conversazioni con i follower, non più «Matteo risponde» ma «Matteo domanda»: «Ascolto, partecipazione, coinvolgimento le parole chiave del lavoro che faremo durante la campagna congressuale».

Né di ascolto, né di partecipazione né tantomeno di coinvolgimento si può però parlare per la più recente decisione dell’ex segretario, che continua a mantenere un controllo stretto sui gruppi parlamentari. Dopo più di due mesi di attesa, infatti, il Pd è pronto a indicare il nome di chi sostituirà Valeria Fedeli (promossa ministra dell’istruzione) alla vicepresidenza del senato. Si tratta di Rosa Maria Di Giorgi, senatrice renziana tra i renziani, esponente della corrente ultra cattolica. La votazione è prevista questa mattina alle nove, a scrutinio segreto, e non rappresenta un problema neanche per i prossimi scissionisti – anche perché l’altro candidato è un grillino. Ma Di Giorgi è del giro stretto dell’ex sindaco di Firenze, del «Giglio magico», è stata persino assessora comunale per Renzi. Ed è l’ultima risposta dell’ex segretario a chi gli chiedeva di non fare il bullo con la minoranza.