Ieri Renzi ha chiesto ai parlamentari del partito di cui è segretario di impegnarsi a fondo nei comitati per il sì. Ma la questione della legge elettorale per il nuovo senato agita il Pd. Gli elementi del problema sono semplici. La riforma costituzionale stabilisce che il senato non sarà più eletto direttamente dai cittadini. La nuova legge elettorale, di conseguenza, è disegnata solo per la camera dei deputati. Stando così le cose, spazi per recuperare la volontà dei cittadini nella scelta dei nuovi senatori non ce ne sono. Se la minoranza Pd volesse davvero vincolare alla salvaguardia della volontà popolare il suo voto favorevole al referendum costituzionale, come talvolta minaccia, non ci sarebbero discussioni. Al referendum dovrebbe votare no. Ma tutto questo era risaputo anche nell’ottobre dell’anno scorso, quando un complicato compromesso giocato sulle norme transitorie della riforma consentì alla minoranza Pd di trovare un alibi per votare a favore della legge di revisione costituzionale. Viceversa la grande riforma renziana sarebbe stata bloccata. E adesso non ci sarebbe nessun referendum sul quale tormentarsi.

Cinque giorni fa il sottosegretario che ha la delega sugli affari regionali, il Pd Bressa, ha detto che il re è nudo: «I senatori che arrivano dalle regioni in prima battuta verranno scelti attraverso una norma transitoria che dice che siano i Consigli regionali a farlo, poi il prossimo parlamento farà la legge elettorale». C’è scritto così nella riforma, ai commi 1 e 6 dell’articolo 39. Ma la minoranza Pd nell’ottobre 2015, quando i suoi voti erano determinanti al senato, ha ottenuto dal governo una correzione in un comma successivo, il 10, di quello stesso articolo. È stato aggiunto che la legge che stabilirà le modalità di elezione dei nuovi senatori (legge bicamerale, a proposito della fine del bicameralismo) andrà fatta non più entro sei mesi dalle prime elezioni successive alla riforma, ma entro sei mesi dalla sua promulgazione. Quindi subito dopo il referendum, nel caso vincessero i sì. E Renzi ieri ha detto ai parlamentari: «Rispetteremo il patto, non ci sono discussioni». Sei mesi da metà ottobre, significa metà aprile 2017. Ma sono previsti altri tre mesi perché le regioni si adeguino a questa nuova legge quadro nazionale, ammesso che vogliano farlo perché gli statuti regionali continuano a essere sovrani in fatto di elezioni dei consiglieri e il parlamento non può imporsi (si finirà alla Corte costituzionale, facile previsione). Arriveremmo così all’estate del 2017.

Se anche avesse ragione adesso il sottosegretario (alle riforme) Pizzetti, che è più vicino di Bressa alla minoranza Pd e ieri è intervenuto per rassicurarla – «la legge elettorale per il nuovo senato si farà in questa legislatura» – questa legge sarebbe subito applicabile solo alle regioni che rinnoveranno i consigli tra l’estate del 2017 e le elezioni politiche, in teoria in programma nel 2018 (se saranno anticipate com’è possibile andrà anche peggio). Queste regioni sono cinque: Valle d’Aosta, Lombardia, Friuli, Lazio e Molise. Dunque a tutto concedere il primo senato riformato sarà composto da 72 senatori scelti dai consiglieri regionali a loro piacere e 28 scelti sempre dai consiglieri regionali ma «in conformità alle scelte espresse dagli elettori», come recita la formula del compromesso interno al Pd.
Le indicazioni degli elettori, che in pratica con due schede dovrebbero scegliere quali consiglieri regionali meritano di essere promossi anche senatori, entrerebbero in gioco solo successivamente, al rinnovo degli altri consigli regionali. Si tratta però di vedere come sarà scritta la legge quadro, operazione difficile dal momento che i due principi introdotti in costituzione sono uno contro l’altro. L’articolo 57 della legge Renzi-Boschi prevede infatti che i seggi nei consigli siano assegnati «in ragione dei voti espressi dagli elettori», metodo proporzionale, ma anche «in ragione della composizione del consiglio», che è ovunque eletto con leggi maggioritarie. La minoranza Pd ha studiato una possibile soluzione, ma non riguarda i 21 senatori-sindaci, la cui scelta restano pienamente in mano ai consiglieri regionali. L’ha avanzata a gennaio, quattro mesi fa. Non è masi stata discussa.