C’è un presidente del Consiglio che in viaggio a New York per partecipare all’assemblea generale dell’Onu ne approfitta per parlar male del suo paese. È il nostro. Nell’inevitabile omaggio alla super lobby del Council on Foreign relation, ieri pomeriggio Matteo Renzi ha parlato soprattutto nella veste di capo della campagna elettorale per il Sì al referendum costituzionale, più che come presidente del Consiglio. I due ruoli del resto si confondono continuamente, senza contare che c’è anche il terzo ruolo di segretario del Pd. «In Italia un politico resta sulla sua poltrona per ogni giorno della sua vita – ha informato gli americani Renzi -, i governi sono cambiati velocemente ma le persone sono sempre le stesse».
Se avesse deciso di mettere da parte gli slogan per il merito della riforma, il presidente del Consiglio avrebbe dovuto spiegare agli americani il senso di un senato non eletto dai cittadini e di un parlamento indebolito rispetto al capo dell’esecutivo, tutte cose estranee all’esperienza politica nord americana. Ma Renzi ha parlato d’altro. «I nostri parlamentari sono il doppio di quelli americani – ha detto – e da noi un presidente di regione prende più del presidente degli Stati uniti». Tutto questo, però, naturalmente finirà nel caso dovesse essere approvata la riforma costituzionale. Perché «per la prima volta nella storia italiana si riducono le poltrone dei politici: è come invitare i tacchini alla festa del Ringraziamento – ha concluso il paragone Italia-Usa in nostro capo del governo – ed è un grande messaggio, l’Italia cambia e devono cominciare a cambiare i politici».

Nel frattempo in Italia o meglio in Svizzera un’altra grande banca ha deciso di far avere ai suoi clienti gli scenari per il dopo referendum. La vittoria del No, ha spiegato il Credt Suisse, «è una possibilità reale». Probabilmente darebbe luogo a «un episodio di volatilità nei mercati», ma non dovrebbe generare «conseguenze davvero sistemiche». In altre parole, scrivono i banchieri elvetici, «crediamo che l’impatto del No sarebbe contenuto e non condurrebbe a un’uscita dall’euro». Prevedibilmente neanche a elezioni anticipate, al limite «i rendimenti dei bond italiani probabilmente salirebbero» pur restando «largamente protetti» dal quantitative easing della Bce di Mario Draghi.
Intanto dopo la decisione della Corte costituzionale di rinviare il giudizio sull’Italicum a dopo il referendum, il Comitato del No attraverso una dichiarazione del vice presidente Alfiero Grandi ha spiegato di essere pronto a riaprire la partita del referendum abrogativo. Strada già esplorata invano durante la scorsa estate, quando in calce a due proposte di abolizione (ballottaggio e pluricandidature bloccate) fu tentata la raccolta delle firme, fallita per poche decine di migliaia di sottoscrizioni mancanti. «Non abbiamo consegnato le 420mila firme raccolte – ha detto ieri Grandi – proprio per non pregiudicare la possibilità di riaprire immediatamente la partita, oggi la situazione è cambiata e l’attenzione sull’Italicum è molto maggiore». La decisione è già stata presa nel corso dell’ultima assemblea del comitato, domenica scorsa: «Se la Corte costituzionale non dovesse demolire l’Italicum nel modo in cui ha fatto con il Porcellum, riproporremo i nostri due referendum abrogativi».