Va in fabbrica e i lavoratori scioperano, all’Università e gli studenti lo contestano, e da Bologna Matteo Renzi riesce a provocare rabbia anche a centinaia di chilometri di distanza, nella «sua» Toscana. In visita al nuovo stabilimento della Granarolo, infatti, interviene in favore del consorzio emiliano che proprio in questi giorni sta tentando di acquisire quote della vecchia centrale del latte di Firenze, Pistoia e Livorno. «Dovreste allargarvi anche in Toscana, checché ne pensino alcuni nostri conterranei», dice al presidente Granarolo, Gianpiero Calzolari. Provocando l’imbarazzo degli amministratori toscani, del suo stesso fedelissimo sindaco di Firenze che si è impegnato con i lavoratori a tutelare la produzione locale del latte. «Sì ai privati, ma tutelando il territorio», si arrampica Nardella. Ma il ministro dell’agricoltura Martina, presente anche lui a Bologna, fa sapere di avere già in mano il dossier: «Vogliamo rafforzare i pivot nazionali attorno ai quali si può costruire una rete diffusa», dice. Largo a Granarolo.

L’azienda è in crescita. Alla presenza di Renzi festeggia il primo miliardo di fatturato – e lui «non ci basta, vi sfidiamo a fare il secondo miliardo» – e annuncia la creazione di Granarolo Cile. Ma i lavoratori della Flai Cgil ieri hanno fatto sciopero in concomitanza con l’arrivo in fabbrica del presidente del Consiglio. Sciopero contro il Jobs act e sit in che, esattamente com’è avvenuto in precedenti visite del premier in altre aziende, è stato tenuto lontano dall’ospite d’onore e dai riflettori della stampa. «Una volta i leader di centrosinistra incontravano i lavoratori, oggi li scansano», commenta su twitter la Camera del lavoro di Firenze. Lo sciopero riesce, la produzione si ferma, ma gli operai per farsi notare devono dare fiato ai fischietti. Renzi li ignora. E nel frattempo da Roma è il responsabile economico del Pd Filippo Taddei a dare la notizia che domani arriveranno in parlamento i primi due decreti delegati del Jobs act. «Per i pareri non c’è fretta, abbiamo trenta giorni», dice il presidente della commissione lavoro della camera Damiano, che fa il tifo per piccoli cambiamenti (i pareri delle commissioni sono in ogni caso solo consultivi per il governo). E di modifiche parla anche l’ex segretario Pierluigi Bersani, anche lui ieri in visita alla Granarolo. «Credo che la partita del Jobs act non sia finita, già nelle prossime settimane qualche correzione potrà essere fatta sui licenziamenti collettivi e sul licenziamento per fatti disciplinari che è scritto in un modo che per me non è accettabile».

Un corteo di protesta organizzato dai collettivi ha segnato invece il passaggio nel centro cittadino di Renzi. Slogan contro il presidente del Consiglio e contro il rettore Dionigi, maschere di Salvini e Poletti e forze dell’ordine presenti in massa per impedire anche in questo caso di avvicinarsi all’evento. All’interno dell’aula magna dell’Alma Mater, Renzi ha parlato per inaugurare l’anno accademico. Ed è tornato sui fatti di Parigi, per attaccare «un atteggiamento sguaiato, cialtrone e maldestro di chi a casa nostra pensa che identità sia il contrario di integrazione». Riferimento fin troppo chiaro alle polemiche anti islamiche dei leghisti, che Renzi ha ormai scelto come avversari privilegiati. «Se c’è un obiettivo di chi scommette sul terrorismo – ha detto – è farci perdere l’idea di essere quello che siamo. E noi siamo l’Università di Bologna». Un alto tasso di retorica nel quale è riuscita a infilarsi Nadia Paolucci, bibliotecaria precaria alla quale è toccata la parola in rappresentanza del personale: «Noi lavoratori pubblici ci siamo indignati e abbiamo espresso la nostra contrarietà per quello che è avvenuto con il jobs act. Pensiamo che questo provvedimento non solo non vada esteso al pubblico impiego, ma vada cancellato anche per il settore privato».