Rembrandt Harmensz van Rijn, “Allegoria dell’olfatto”, 1624 o ’25, New York, Leiden Collection

 

Siamo oltre la metà di questo anno di celebrazioni rembrandtiane: col 350° anniversario della morte dell’artista (1669) si sono attivate una serie di iniziative espositive – alcune delle quali seguite dalle pagine di questa testata – che termineranno al principio del 2020. In parallelo, come sempre accade, tutto il coté editoriale è andato di concerto e così, oltre alle mostre, progressivamente, si producono una serie di volumi dedicati al sommo artista.
Questa attenzione, per la verità, non sembra mai essere scemata. Anzi. Il profluvio di inchiostro e carta a proposito di Rembrandt può a ben diritto gareggiare con la mole di opere dedicate a Leonardo o Michelangelo. Come per questi ultimi, poi, si è in parte determinato un fenomeno di ‘accentramento’ degli studi per cui sempre di più si sono stabiliti campi autonomi e quasi a se stanti, galassie autosufficienti dotate di proprie costellazioni e centri di forza. Addentrarsi in questi complicati meandri bibliografico-critici appare spesso scoraggiante, a volte persino frustrante. Ma non è affatto detto che questa mole di carta sia indice della buona salute degli studi. Spesso, anzi, è proprio una spia del contrario.
Come ha osservato Gary Schwartz in uno degli articoli del suo blog, gli specialisti di Rembrandt avevano la loro Bibbia nelle «tre B», alludendo ai cataloghi di Abraham Bredius – nella versione rivista da Horst Gerson – per i dipinti; a quello di Bartsch per le incisioni e, infine, al catalogo di Otto Benesch per i disegni. Ma negli ultimi anni ognuno di questi tre ambiti espressivi e, di conseguenza, dei cataloghi che ne raccolgono le opere, è stato sottoposto a un vaglio implacabile. Basterà citare quello che, tra le molte questioni legate all’opera di Rembrandt, è stato uno dei punti focali degli ultimi cinquant’anni, e cioè il complesso e ultradecennale lavoro per il Corpus of Rembrandt Paintings, avviato alla fine degli anni sessanta e giunto a conclusione, con il sesto volume, solo nel 2015. Il principale obiettivo del team che lavorava a quello smisurato progetto era di definire una volta per tutte il catalogo dei dipinti dell’artista. A oggi, dopo svariate polemiche e diversi cambi di direzione – che giungevano dai membri stessi dell’équipe, e in particolare da Ernst van de Wetering – molti dei risultati di quelle ricerche sono, per così dire, entrati in circolo.
Ma il catalogo dell’artista continua a subire aggiunte. Nel settembre 2015 venne venduta un’opera che tre fratelli di Paterson, New Jersey, portarono a una casa d’aste. Emersa inaspettatamente dalla cantina statunitense, la piccola tavoletta fu riconosciuta come una delle Allegorie dei sensi: l’Allegoria dell’olfatto è infatti uno dei tasselli (all’appello ne manca ancora uno, l’Allegoria del gusto) di quella serie giovanile del pittore. Dopo il primo restauro è riemerso anche il tipico monogramma del periodo giovanile dell’artista: RHF. Acquistata dalla Leiden Collection di New York, questa è stata una delle più sensazionali scoperte degli ultimi decenni. Più di recente è stata la volta del Giovane Gentiluomo che l’antiquario Jan Six aveva scovato a Londra; e dallo stesso Six arriva l’annuncio di una nuova opera giovanile («New York Times Magazine», 27 febbraio 2019), che farà certamente discutere.
In questo orizzonte, una scelta in parte controcorrente è stata quella del Rijksmuseum di Amsterdam. Per accompagnare la grande esposizione All the Rembrandt of the Rijksmuseum (vedi l’articolo di Davide Dall’Ombra su «Alias-D», 26 maggio 2019), infatti, non è stato prodotto il classico catalogo. Il museo ha optato per una scelta diversa: da un lato una nuova biografia dell’artista scritta da Jonathan Bikker e pubblicata in olandese e inglese – Rembrandt Biography of a rebel, pp. 220, 155 ill., euro 25,00 –, dall’altro un volume che raccoglie tutte le opere che erano esposte nelle sale del museo e che costituiscono la più grande collezione al mondo di opere di Rembrandt (Rembrandt x Rijksmuseum, con testi di Erik Hinterding, Mireille Linck, Ilona van Tuinen, Jane Turner, Jonathan Bikker, pp. 824). Concepiti da Irma Boom e pubblicati dalla casa editrice nai010, i due testi offrono una utile introduzione ai temi rembrandtiani.
La biografia di Bikker, nella sua forma agile e grazie a una narrazione accattivante, è una buona introduzione all’universo dell’artista. Dagli anni giovanili (per molti versi ancora misteriosi), passando per i momenti di grande affermazione ad Amsterdam negli anni trenta e quaranta, sino ai turbolenti anni cinquanta, segnati dal tracollo finanziario, Bikker tratteggia il percorso di Rembrandt attraverso una tessitura che tiene conto dei diversi aspetti che nel tempo hanno contribuito a rendere più chiara la sua figura: dal rapporto con il clan mennonita ai legami con le personalità più in vista della città sull’Amstel, dal legame con i pittori contemporanei a quello con gli artisti del passato; in breve, la ramificata e complessa rete sociale nella quale l’artista visse e operò.
È stato soprattutto a partire dal libro di Gary Schwartz, 1984, che si è affermato un nuovo modo di guardare ai rapporti di Rembrandt col suo contesto, e in ideale continuità con quella ricerca può essere letto il volume di Bikker. Al di là del titolo, che occhieggia al vecchio mito sempre duro a morire dell’artista ‘ribelle’, preda del suo genio e per questo in contrasto con le convenzioni sociali della sua epoca, Bikker offre di Rembrandt un ritratto efficace e ricco. A voler mettere nero su bianco dei desiderata, però, si dovrà dire che a tratti proprio le opere restano come in secondo piano, quasi che il linguaggio figurativo venisse determinato in tutto e per tutto dalla committenza o da fattori esterni. La capacità dell’artista di imporre sterzate inaspettate, di ridefinire il suo linguaggio in modo rapido e di volta in volta nuovo, è uno dei tratti che meglio si apprezzano nell’opera grafica. L’ampio corpus di incisioni e disegni che il museo olandese possiede è la parte preponderante del volume Rembrandt x Rijksmuseum.
Proprio la produzione grafica dell’artista ha infatti registrato alcune delle più importanti novità nell’ambito degli studi rembrandtiani. Sì, perché nell’arco di qualche decennio il catalogo dei disegni ha subito una profonda revisione, in particolare grazie agli studi di Martin Royalton-Kisch e Peter Schatborn; così come quello delle incisioni è stato riorganizzato da Herik Hinterding. A far data dal cruciale volume di Christopher White del 1969 (ripubblicato nel 1999) sempre più attenzione è stata dedicata alle incisioni di Rembrandt come linguaggio autonomo, sperimentale al massimo grado. Per quanto riguarda i disegni, poi, poco a poco si è avviata una paziente opera di revisione del ponderoso catalogo in sei volumi che Otto Benesch pubblicò tra il 1954 e il 1957 (una seconda edizione, ampliata, comparve nel 1973).
Le ricerche di Royalton-Kisch e Schatborn hanno permesso di restringere il catalogo dei disegni approntato da Benesch, escludendo quelli spuri e assestando su nuove basi lo studio di quelli sicuramente autografi. A partire da questo nucleo di 78 disegni, gli studiosi hanno poi proceduto a una più attenta analisi anche degli altri fogli, che facevano parte del più ampio corpus dei disegni legati al nome di Rembrandt. Come è accaduto per i quadri, il numero delle attribuzioni si è ridimensionato, giungendo a un tetto di 708 numeri di catalogo. Un primo punto fermo era stato stabilito nel 2011 quando, in tre lunghi articoli pubblicati (insieme a S.A.C. Dudok van Heel) sulla rivista «Master Drawings» , erano stati resi noti i criteri e il modus operandi per giungere a definire il nuovo catalogo dei disegni dell’artista.
Non stupisce, dunque, che proprio a Schatborn sia stata affidata la curatela del nuovo catalogo pubblicato da un editore attento al più ampio pubblico quale è Taschen. Rembrandt The Complete Drawings and Etchings (pp. 756, 1022 ill., euro 150,00) propone infatti, per la prima volta dal catalogo di Benesch, una rassegna completa dei disegni attributi oggi all’artista, tutti riprodotti in illustrazioni a colori. Insieme ai disegni, nella seconda parte del ponderoso volumone, Hinterding ha curato il catalogo delle 314 incisioni. Lo stesso studioso aveva (insieme a Jaco Rutgers) pubblicato un nuovo catalogo delle incisioni per la serie «The New Hollstein» – i cataloghi sistematici degli incisori olandesi e fiamminghi dal 1400 al 1700 – approntando significative novità, dal riconoscimento di numerosi nuovi stati delle incisioni a una nuova organizzazione cronologica, e non più tematica.
Nei testi, brevi e incisivi, scritti da Hinterding e Schatborn, si forniscono le coordinate di base irrinunciabili per addentrarsi nel complesso mondo grafico di Rembrandt. Delle incisioni, in molti casi, si è scelto di riprodurre gli stati più complessi, o per lo meno quelli che rendono evidente il lavorio dell’artista sulla lastra prima dell’impressione, anche se, chiaramente, il volume non è un catalogo critico, uno di quei cataloghi, cioè, che elenca tutti i successivi stati a partire dalla prima stampa. Per quanto nei testi si affronti il complesso (e a tratti dai contorni ancora sfumati) problema del rapporto con la ‘scuola’ – termine da usare con le pinze nel caso di Rembrandt – è soprattutto guardando ai disegni che il tema s’impone. Attraverso i disegni è possibile infatti entrare nel vivo dell’officina dell’artista, provare a seguire le sue predilezioni, come ad esempio nel caso delle stupende copie da una serie di miniature indiane che possedeva; o, ancora, osservare, a raffronto con le incisioni, in che modo in alcuni casi i disegni e il lavoro sulle lastre di rame procedesse in un mutuo, continuo incremento di idee e soluzione figurative, che in alcuni casi transitava dall’uno all’altro mezzo espressivo. L’organizzazione per nuclei tematici, familiare a chi abbia incrociato i classici cataloghi di Benesch o Bartsch, fa perdere però l’evolvere del linguaggio dell’artista, i suoi vorticosi cambiamenti, i suoi inaspettati salti. Se per i disegni, in molti casi, la seriazioni cronologica non è affatto certa e risulterebbe arbitrario ancorarne alcuni a un preciso momento, per le incisioni si poteva forse scegliere di seguire il criterio adottato per i già ricordati volumi del «New Hollstein».
Per valutare le novità proposte dai cataloghi Taschen – i quali, è bene ribadirlo, si appoggiano alle più aggiornate ricerche degli specialisti di Rembrandt – ci vorrà, del resto, del tempo. La stessa Taschen sta per pubblicare un altro volume dedicato a tutta l’opera pittorica dell’artista e, forse, c’è da aspettarsi qualche ulteriore novità.