La pandemia non avesse congelato e sospeso le nostre vite, l’agenda di aprile avrebbe previsto una tappa a Madrid per la visita, d’obbligo, alla mostra inaugurata al Museo Thyssen-Bornemisza lo scorso 18 febbraio. Rembrandt y el retrato en Ámsterdam, 1590-1670, curata da Norbert Middelkoop con la collaborazione di Rudi Ekkart, è uno degli eventi finali delle (lunghe) celebrazioni dell’anno rembrandtiano 2019 – il 350esimo dalla morte. La chiusura prevista per il 24 maggio è stata anticipata, ma le sale del museo sono visitabili ‘virtualmente’: meglio di niente.
La mostra nell’edificio sul Paseo del Prado ha riunito un’infilata di opere di prima qualità (80 dipinti, di cui 39 di Rembrandt, più 16 incisioni) che, nell’insieme, delineano il percorso di uno dei generi più amati nel Secolo d’Oro olandese: il ritratto. Fu soprattutto dal 1578, quando Amsterdam si liberò definitivamente dal giogo di Filippo II, con sei anni di ritardo rispetto alle altre città delle Province Unite, che il ritratto divenne uno dei generi prediletti dei sempre più numerosi abitanti della città, la quale infatti, in un breve torno di anni, divenne una delle metropoli più grandi e popolose d’Europa, che accolse moltissimi rifugiati dal sud dei Paesi Bassi in fuga dalle guerre di religione.
La situazione sul finire del sedicesimo secolo è evocata, ad esempio, da due dipinti eseguiti da Cornelis Ketel, pittore originario di Gouda che, dopo otto anni a Londra, si stabilì ad Amsterdam. I modelli che pesano e che definiscono la tradizione sono ancora quelli del Rinascimento maturo – non a caso Ketel trascorse anche un periodo a Fontainebleau. I molti immigrati furono la vera e propria fortuna di Amsterdam: tra di loro vi erano artigiani, editori, commercianti e, ovviamente, molti artisti. Nell’arco di due decenni la città vide fiorire una miriade di botteghe, in grado di soddisfare la domanda sempre crescente di quadri.
È proprio grazie a questo contesto che si può comprendere al meglio l’eccezionalità di quello che fu l’exploit di Rembrandt nel 1631. In quell’anno, infatti, il giovane pittore (all’epoca aveva 25 anni) firmò e datò i suoi primi ritratti. Sino ad allora non ne aveva dipinto neanche uno, concentrato com’era sui quadri di storia. Eppure, Jan Orlers, che nel 1641 scrisse la sua prima biografia a stampa, dichiarava senza incertezze che le sue opere avevano avuto un successo strepitoso ad Amsterdam.
Questo momento è ben evocato dall’Uomo allo scrittoio, giunto a Madrid dall’Hermitage. Fu realizzato probabilmente in concomitanza col quadro più noto di questi anni, e cioè il Ritratto di Nicolaes Ruts della Frick Collection di New York. L’arrivo di Rembrandt da Leida è legato al mercante Hendrick Uylenburgh: fu lui che ingaggiò questo giovane talentuoso per la sua bottega. Ma più che una bottega, quella di Uylenburgha era una vera e propria impresa: egli agiva come una sorta di broker, procurando commissioni al pittore e spartendo i guadagni.
Nel catalogo, un ampio saggio di Bas Dudok van Heel tratteggia con dovizia di particolari le complesse relazioni tra il mercante e il ‘suo’ pittore, e tra questi e i suoi concorrenti. La strategia messa in piedi da Uylenburgh e Rembrandt dovette rivelarsi vincente, dato chela ‘ditta’ non solo riuscì a competere con i più affermati ritrattisti del momento, cioè Nicolaes Pickenoy e Thomas de Keyser, ma anche a imporsi all’élite cittadina. Come in altri casi, il pittore riuscì a fare proprie le istanze di un genere e a ridefinirlo dal suo interno. Solo Frans Hals riuscì, ma su presupposti diversi, a realizzare un’impresa simile.
Stabilita una propria bottega (dal 1635), Rembrandt dedicò tutte le sue energie alla pittura di storia, e smise quasi del tutto di dipingere ritratti. Questo, forse, lasciò campo libero ai pittori che, negli anni quaranta, guadagnarono sempre più piede: sulla scia del gusto stabilito da Antoon van Dyck, molti di essi iniziarono a eseguire ritratti ispirati ai suoi quadri. Tra di loro, anche alcuni ex allievi di Rembrandt, come Govert Flinck e Ferdinand Bol.
Di Flinck, ad esempio, è giunta a Madrid la coppia di ritratti del Museum of North Carolina a Raleigh, eseguiti nel 1646, che probabilmente raffigurano Jan van Hellemont e Margaretha van Raephorst. Ma trovano spazio anche altri rappresentanti delle alternative della pittura ad Amsterdam negli anni quaranta, come Jacob Backer. Anche per gli anni cinquanta, che inaugurano l’ultima fase di Rembrandt, quella materica e spessa, gli esempi in mostra sono mirabili, come il Portastendardo del Metropolitan Museum, realizzato nel 1654, e del quale si propone una nuova identificazione, o l’ancora più tardo Ritratto di giovane, 1662 circa, del museo di Kansas City.
Rispetto alle molte esposizioni recenti del grande olandese, la madrilena ha scelto di affiancare le sue opere a quelle dei suoi contemporanei e predecessori. Per un genere ‘difficile’ come quello del ritratto, si è rivelata una scelta felice, che fa comprendere in modo immediato le ragioni del grande successo che arrise al pittore non appena giunto ad Amsterdam.