Ho passato una bellissima domenica di sole nelle colline della Sabina, tra Lazio e Umbria, in compagnia di bellissime giovani persone (e segnalo un crescente rabbioso scetticismo di giovani colti, e in buona sintonia con un ambiente naturale oltre che tecnologico, nei confronti di una politica la cui credibilità, in rimonta per l’ansia collettiva di protezione di fronte al virus, credo rischi ora un tracollo). Di fronte alle ipotesi di nuovi lockdown, si pensa con maggiore apprensione alla mancanza insopportabile delle relazioni a cui più teniamo.

Non è un caso che questa parola, relazione, ritorni più spesso nel discorso pubblico, come più spesso si ripete la parola cura. Si scrivono saggi sulla «democrazia della cura» (Giorgia Serughetti, Democratizzare la cura/ Curare la democrazia, Nottetempo, 2020), si stendono manifesti, con il concorso di «militanti» di molte associazioni sulla «Società della cura» ( Marco Bersani ne parla su queste pagine). Qui vorrei solo avanzare un appunto: se queste parole molto positive non sono coniugate con un terzo termine, diciamo più problematico, conflitto, temo che non si riuscirà a farle agire per un vero cambiamento in meglio della politica.

Segnalo tre libri molto diversi e diversamente discutibili, nel senso dell’opportunità di conoscerli e discuterli. Due usciti da poco: la giornalista Tiziana Ferrario ha pubblicato con chiarelettere Uomini, è ora di giocare senza falli!. L’antropologa Teresa Lucente ha scritto per effigi Il luogo accanto. Identità e Differenza. Una Storia di Relazioni. L’anno scorso il melangolo ha stampato Filosofia delle relazioni. Il mondo sub specie transformationis, di Laura Candiotto e Giacomo Pezzano.

Candiotto e Pezzano partono dalla relazione che lega nella ricerca e scrittura loro due per un excursus filosofico – da Platone a Deleuze, con citazioni, per quanto marginali, di filosofe femministe come Cavarero e Irigaray, e incursioni nel pensiero orientale – per arrivare a un «manifesto del nuovo realismo delle relazioni». Un universo mentale – sintetizzo arbitrariamente – in cui la centralità del tessuto di relazioni che costituisce noi individui e individue umane, si inserisce nella materia naturale, organica e inorganica, che «vive» secondo lo stesso principio, in una rete di interazioni reciproche che non dovrebbero essere mai rimosse. Il libro di Tiziana Ferrario è una sorta di «manuale» per la lotta al maschilismo, all’ingombro «fallico» che ancora noi uomini produciamo nel mondo.

Con la novità di uno sguardo interessato ai segnali di cambiamento che pure vengono dal mondo maschile, in vista di una possibile «alleanza» (un capitolo sugli «uomini nuovi», termine di cui vedo le buone intenzioni, ma che richiederebbe qualche precisazione, almeno per chi viene come me da una cultura politica che lo ha pronunciato sconsideratamente…). Il libro di Teresa Lucente è quello che mi sta più a cuore, anzi, nel cuore, perché parla di una vicenda alla quale ho partecipato per molti anni, e che è stata molto importante, per me, e per la crescita proprio di un modo di riflettere sulla propria maschilità che forse potrebbe dare qualche buon frutto. Non posso fare altro che consigliarne la lettura, specialmente a chi è interessato a una relazione tra uomini e donne che non rimuova la realtà del conflitto. Qui se ne parla nel vivo di una esperienza condivisa.

E per non apparire troppo benevolmente fazioso, dirò che anche in questo caso sulle dinamiche dei conflitti che a un certo punto sono emersi mi sarei aspettato qualche parola in più. Abbiamo sempre il tempo per cercarle, queste parole.