Parma e il luogo del suo teatro. Conversazione con Maria Federica Maestri e Francesco Pititto di Lenz Rifrazioni.

Lenz Teatro ha sede nello Spazio Pasubio, area periferica che si affaccia sul centro città di cui avete riattivato il potenziale. Che relazione avete instaurato con questo spazio?

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(Maria Federica Maestri) Lo Spazio Pasubio è una zona prossima al centro della città, ma ancora segnato dall’origine industriale del quartiere, dove erano attive le grandi vetrerie insediate alla fine dell’Ottocento. Era uno spazio dimenticato, diventato improduttivo dopo aver ospitato negli anni Settanta le fabbriche meccaniche e del vetro, la Luciani e la Bormioli. Nel 1989, l’anno della caduta del Muro di Berlino, siamo entrati qui e lo abbiamo rimesso in funzione, la produzione ha ricominciato «a produrre», invece di scatole, sapere artistico, ricerca e sperimentazione, formazione, didattica dei corpi e delle visioni creative, ancora fabbrica, ma di prodotti immateriali, culturali, sociali, etici. La presenza di Lenz Teatro all’interno del quartiere S. Leonardo, rappresenta lo spostamento del luogo di produzione artistica dal centro alla periferia, l’allontanamento dalle concentrazioni tradizionali della cultura, l’individuazione dell’asse di uscita dalla città – autostrada A1 e ferrovia – come possibilità di comunicazione con il territorio extra-urbano. Tutto l’edificio è situato in un quartiere storico della città, storico per la industrializzazione e per la qualità urbana, ma il quartiere di lotte operaie e dormitorio si sta velocemente trasformando in prolungamento del centro commerciale e terziario, di nuovi abitanti extracomunitari di diversa etnia e religione.

La creazione di questo habitat è esemplificativa di un modus operandi che lega il fare artistico alla realtà urbana in cui si colloca. Quali sono le principali tappe di questo legame?

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(Francesco Pititto) L’edificio, la cui nascita risale agli anni Trenta, presentava spazi segreti, grandi sale, camere, corridoi, finestre su cortili, il sottotetto. Quando l’abbiamo percorso la prima volta eravamo già all’interno di una scena teatrale possibile, l’acustica delle sale è stata subito generosa e la suddivisione degli spazi, funzionale al lavoro operaio, risultava perfettamente adatta per il lavoro del teatro. Un’officina creativa che, fin dagli esordi, ha intrattenuto il suo dialogo con la realtà urbana, in particolare con quelle marginalità urbane costituite da ex lungodegenti psichici e persone con disabilità intellettiva. Un dialogo che dalla realtà parmigiana si estende sul territorio nazionale e internazionale tramite ospitalità artistiche multidisciplinari.

A partire dagli anni Duemila, Lenz Teatro è stato un soggetto attivo entro le progettualità urbane, di ristrutturazione e «riqualificazione».

(Maria Federica Maestri) Oggi siamo parte di una trasformazione radicale all’interno di una più ampia «riqualificazione urbana». C’era un progetto di nuovo teatro sulla struttura del vecchio, realizzato da uno degli studi di architettura più avanzati del mondo – l’Mbm Arquitectes di Oriol Bohigas da Barcellona – ma oggi sappiamo che non verrà mai realizzato. Siamo stati ascoltati dalla nuova amministrazione e abbiamo indicato molte priorità per mantenere una continuità con l’esperienza fin qui praticata. Lenz Teatro da immobile di proprietà privata è passato a immobile di proprietà pubblica nella Società di Trasformazione Urbana, poi è stato venduto, a causa della situazione debitoria della Stu, ed è tornato a essere privato con l’altissimo rischio di subire una radicale trasformazione e cancellazione della propria identità culturale costruita in trent’anni di lavoro.

Quale giudizio date degli orientamenti attuali dell’amministrazione Cinquestelle che governa Parma sul comparto Pasubio?

(Francesco Pititto) In questi primi mesi del 2014 la nuova amministrazione sembra orientata ad acquisire lo spazio Lenz Teatro e a riconoscerne la funzione di interesse pubblico e collettivo. Se così fosse, nonostante i tempi difficili, sarebbe un forte segnale di attenzione verso l’arte non riconciliata e aperta alle comunità marginali, alle nuove generazioni e la conferma di un progetto culturale iniziato trent’anni fa e tuttora attivo nella produzione artistica contemporanea.