Dopo venti giorni di agitazione nel porto di Livorno, il 13 luglio è stato raggiunto un accordo tra i lavoratori rappresentati dall’Unicobas e l’Agenzia per il Lavoro in Porto (Alp) che lo scorso 22 giugno aveva licenziato cinque dipendenti. Da martedì tutti i portuali licenziati sono finalmente potuti ritornare a lavoro. Il «reintegro immediato» è stata la rivendicazione che ha segnato queste settimane scandite da numerose iniziative di lotta, tra cui anche uno sciopero generale cittadino.
L’accordo raggiunto a Palazzo Rosciano, nella sede dell’Autorità di sistema portuale, non prevede il reintegro formale dei lavoratori, perché non mette in discussione la legittimità del licenziamento, ma questo risultato, come afferma il sindacato, di base è «un reintegro sostanziale, nel senso che i lavoratori mantengono le tutele del contratto precedente (niente jobs act), lo stesso inquadramento e l’anzianità di servizio».
Per comprendere quanto è avvenuto a Livorno bisogna aver presente come funziona il lavoro nei porti in Italia. In base alla legge 84 del ‘94 e ai provvedimenti successivi nei porti vi sono diversi operatori, tra cui: i terminal (ex art. 18) che hanno in concessione aree e banchine; le agenzie che forniscono manodopera a chiamata (ex art. 17) che intervengono per rispondere ai picchi di lavoro; le aziende che lavorano in appalto (ex art. 16) che forniscono servizi al terminalista committente.
Questa regolamentazione, che già crea situazioni di precarietà e di ricatto, viene spesso aggirata e violata per ottenere manodopera al ribasso, con una compressione dei diritti dei lavoratori e delle condizioni di sicurezza. Il 19 maggio in un terminal (ex art. 18) operava una azienda in appalto (ex art. 16) in una modalità che secondo la norma compete solo al fornitore di lavoro temporaneo (ex art. 17), ossia all’Alp. I lavoratori Alp presenti in quel momento al terminal di fronte a questa anomalia sono intervenuti per chiedere il rispetto della normativa, per difendere i diritti di tutti i lavoratori.
Dopo questi fatti l’Alp ha provveduto prima alla sospensione disciplinare di cinque portuali, e poi al licenziamento «per giusta causa» motivato dal venire meno del rapporto di fiducia. Per l’azienda i lavoratori «hanno interferito con operazioni fatte da altri operatori», per chi sostiene i lavoratori le motivazioni sono inammissibili e pretestuose. Tra i licenziati c’è anche Massimo Mazza Rsu all’Alp per l’Unicobas e responsabile provinciale del settore porto del il sindacato di base a cui erano iscritti anche altri licenziati. Da quando pochi anni fa i lavoratori si sono organizzati sulle banchine con il sindacato di base hanno ottenuto alcuni importanti risultati, come la stabilizzazione dei lavoratori di Alp, inoltre intervengono costantemente sulla questione della sicurezza dei lavoratori, sempre messa da parte di fronte agli interessi dei grandi armatori. Sono chiari dunque il carattere repressivo di questi licenziamenti e la natura pretestuosa delle motivazioni addotte dall’azienda.
Questa vicenda ha un rilievo nazionale. Lo scontro che si è avuto in queste ultime settimane sulle banchine dello scalo livornese si inserisce in una generale tendenza alla deregolamentazione dell’organizzazione del lavoro, comune a tutti i porti italiani. Ne è uno specchio la solidarietà dimostrata dai lavoratori di altri porti: il Collettivo autonomo lavoratori portuali di Genova e il Coordinamento lavoratori del porto di Trieste si sono attivati con iniziative di sostegno, e una delegazione di portuali genovesi ha pure partecipato al corteo che si è tenuto a Livorno il 6 luglio in occasione dello sciopero generale cittadino. Una lotta che ha avuto risalto a livello nazionale quindi, ma anche internazionale in alcuni casi, perché dalla Spagna è arrivato un attestato di solidarietà della «Cgt Mar y puertos». In queste settimane è stata importante anche la solidarietà a livello locale, il sostegno ai portuali licenziati è arrivato anche da altri sindacati come Usb, Cub e Usi, e oltre alle varie realtà politiche che hanno espresso il proprio sostegno, si segnala come anche in altri settori, nella scuola come nell’industria, molti lavoratori abbiano solidarizzato con i licenziati, sia con comunicati, sia partecipando allo sciopero.