«In questo partito non si discute più di forze produttive, perché si discute di Civati», non si pensa «alle forze reali» ma solo «a quelle che stanno a Montecitorio». E dietro a Matteo Renzi, «un ignorante», c’è solo «un vuoto politico». Insomma, «ma il Pd serve ancora?».

Reichlin
Mette il dito nella piaga, Alfredo Reichlin, padre costituente del Pd a cui Renzi fece riferimento quando lanciò il suo personale “Partito della nazione”, ma bacchetta anche la sinistra riformista dei vari Roberto Speranza, Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Guglielmo Epifani, Nico Stumpo, Davide Zoggia, Enza Bruno Bossio, Flavio Zanonato, esponenti di quelle anime ribelli del partito che ieri in un’assemblea a Roma hanno provato a misurare forze e strumenti, e a confrontarsi su «L’Italia che vogliamo, il Pd che vogliamo»: «Non bastano proteste e voti contrari alle leggi sbagliate – afferma Reichlin – dobbiamo mettere in campo qualcosa di più. Stiamo attenti a non diventare una setta come tante altre».

 

Ma è Roberto Speranza a lanciare la sfida al segretario/premier: : «Le riforme vanno fatte, e noi ci siamo», ma «non si può abusare all’infinito del nostro senso di responsabilità». È un Pd «del dialogo e dell’ascolto», quello che vorrebbe il leader dell’Area riformista, senza «toni ultimativi». Non «un capo e poi una moltitudine», «perché indebolire le forze intermedie non aiuta a governare: se asfalti questi mondi alimenti una cultura di destra». Non serve «il megafono di palazzo Chigi» ma «un grande soggetto collettivo, autonomo e autorevole».

Anche perché l’uomo solo al comando ha commesso almeno «tre errori» dopo «aver eletto Mattarella». Dice Speranza: «Abbiamo pensato di governare il Paese, dividendolo. Abbiamo sbagliato su Jobs act, scuola e legge elettorale». Perché poi in fondo il problema è «avere paura della parola sinistra», gettare fango sulle lotte della sinistra: «Ho detto a Renzi che sbaglia se lui ne parla male perché sega l’albero su cui è seduto e prima o poi vincerà la destra». E infine: «Se il Partito della nazione è un soggetto indistinto in cui stanno dentro tutto e il contrario, se questa è l’idea noi saremo contro».

In sala c’è anche Pier Luigi Bersani, che non commenta perché la relazione di Speranza «è stata perfetta, io non ho nulla da aggiungere. Oggi è il giorno di Roberto». Incoronato così leader della minoranza dall’ex segretario, in vista di una unificazione con la Sinistra dem di Gianni Cuperlo.

E’ proprio Cuperlo a scagliarsi contro «quella pessima idea del Partito della nazione» che «si è spento nelle urne». E ora che «l’allarme è suonato per tutti», occorre «accelerare i tempi».

«Immaginarsi stampella della strategia scelta nell’ultimo anno è sbagliato e perdente», avverte Cuperlo rivolto a quella minoranza dialogante a prescindere. Occorre invece mettere «insieme le forze nei gruppi» ma programmare in autunno «una grande assemblea».

Anche la sinistra riformista però, deve cambiare tutto «come fece – è la metafora evocata da Cuperlo – Rivera nel calcio»: «Prima di lui il migliore era chi metteva la palla sul piede dell’attaccante. Lui ha iniziato a lanciare la palla dove non c’era nessuno ma dove sapeva l’attaccante sarebbe arrivato per primo. A noi – conclude il deputato dem – serve la stessa fantasia, ci serve un progetto storico perché la sinistra non può vivere solo di protesta ideale».

La risposta indiretta di Matteo Renzi arriva a sera, con una battuta regalata al pubblico seduto al sole che assisteva a Firenze all’intesa tra lo Stato e i buddisti della Soka Gakkai, perché la lingua batte dove il dente duole: «A sinistra si soffre sempre di più, ma a destra di solito sono più numerosi». E poi: «La sinistra estrema si sta sciogliendo… nel senso tecnico, non politico. Ma non applaudite perché sennò domani scoppia la polemica».