In pochi hanno reale contezza del dramma sanitario di Taranto. Chi parla di salvaguardia della produzione dell’acciaio dell’Ilva a tutti costi, dovrebbe dare un’occhiata ai dati del registro tumori di Taranto, riguardanti il triennio 2006-07-08, che il 27 marzo ha ottenuto l’accreditamento dell’Airtum (Associazione Italiana Registri Tumori) e realizzato grazie al lavoro dell’Unità Operativa di Statistica ed Epidemiologia della Asl/Ta.

Dal quadro generale emerge un dato scientificamente inconfutabile: il Sin di Taranto (che comprende i comuni di Taranto e Statte) presenta dati di incidenza superiori, per diverse tipologie di tumori, sia negli uomini che nelle donne, se confrontati con i dai del resto d’Italia, con quelli del Sud Italia e delle Isole, e con quelli della provincia ionica.
Una situazione drammatica, dovuta non soltanto alla presenza del siderurgico, ma anche a quella dell’Eni, della Cementir e della Marina Militare. Dati terribili, di fronte ai quali bisognerebbe semplicemente fermarsi e riflettere. Perché rappresentano il dolore e la sofferenza patiti da decenni nella popolazione tarantina. E che si sovrappongo a quelli contenuti nel Rapporto Sentieri illustrato dall’ex ministro della Sanità Renato Balduzzi lo scorso ottobre. I dati relativi a Taranto del periodo 2003-2009, nell’ambito dello studio dell’Istituto Superiore di Sanità con l’Oms, evidenziarono un eccesso di mortalità per tutte le cause, i tumori e le malattie circolatorie e per le malattie respiratorie. Nello stesso periodo si confermano gli eccessi per le demenze, ipertensione, ischemia e cirrosi epatica. Aumentano anche il melanoma, i linfomi non Hodgkin e leucemia mieloide.

Ed il futuro non appare roseo, se è vero quanto sostenuto dal direttore dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato, che nei giorni scorsi ha resto noto il documento della «Valutazione del Danno Sanitario», in cui vi è scritto che l’applicazione delle prescrizioni dell’Aia (l’autorizzazione integrata ambientale) entro il 2016 e una produzione annua di 7 milioni di tonnellate di acciaio a fronte di un massimo di 8 prescritte all’azienda dall’autorizzazione integrata ambientale rilasciata all’Ilva lo scorso 26 ottobre dall’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini, «dimezzerebbe il rischio cancerogeno» per la popolazione dei quartieri più vicini all’Ilva. In pratica ci si ammalerebbe e si morirebbe la metà.