Martin Scorsese ha lavorato trent’anni per portare sullo schermo Silence, il suo film del 2016 sui missionari cattolici in Giappone. Io ci ho messo un’ora a scrivere una recensione di cinquecento parole che alla fine diceva che era un po’ noioso e non mi era piaciuto Andrew Garfield. Anche aggiungendo il tempo servito a guardare il film – lungo com’è – non si arriva certo a trent’anni. Se ci dovesse essere una guerra fra critici e registi sarebbe una guerra asimmetrica. Quello che loro fanno in un anno noi potremmo cancellarlo in un pomeriggio. Ma non è una guerra. Almeno non dovrebbe esserlo.

Tuttavia, negli ultimi giorni e settimane mi sembra che ci siano state le prime scaramucce. La prima sparatoria è stata quella tra un critico di Variety e Carey Mulligan, l’attrice del film Una donna promettente. Lui ha scritto una recensione del film l’anno scorso quando il film è stato proiettato al Sundance dicendo che era strana la scelta della Mulligan per un ruolo di donna sexy che intrappola gli uomini per una sua vendetta personale. L’attrice ha risposto in diverse interviste commentando il fatto e dicendo che il critico, Dennis Harvey, aveva suggerito che lei non fosse abbastanza sexy per interpretare il ruolo di una vittima di stupro. La rivista americana ha scritto l’articolo come un’apologia all’attrice ma Harvey in un’intervista a The Guardian (non so perché non Variety) ha detto che quella non era la sua intenzione e ha difeso la sua recensione.

Round 2. Malcolm & Maria: il nuovo film di Sam Levinson, figlio di Barry e creatore del fenomeno televisivo Euphoria. La trama racconta la notte in cui una coppia torna dalla première del loro nuovo film. Parlano, gridano e litigano sull’industria di Hollywood e i critici e il loro rapporto. Malcolm (John David Washington) è particolarmente turbato da una vecchia recensione di un film da parte di una critica: «la donna bianca del Los Angeles Times». Si pensa che questo fosse un riferimento a Katie Walsh che ha scritto su Assassination Nation di Levinson in termini abbastanza negativi.

L’idea di usare un film come replica ad una critica negativa sembra troppo meschina, vero? In realtà è già successo un sacco di volte. In The Dead Pool, l’ultimo film dell’Ispettore Callaghan di Clint Eastwood, un critico con una vaga somiglianza a Pauline Kael muore in maniera violenta. Sarà solo una coincidenza che Kael abbia detto di Eastwood ‘non è per nulla un attore’. La sua recensione dell’Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo  esplicitamente accusa il film di essere fascista. Eastwood si arrabbiò molto e mandò una lettera ad un altro critico, Andy Sarris, che era più positivo. Il sequel Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan vede Eastwood combattere contro una squadra di poliziotti fascisti, come fosse una replica diretta a Kael: ecco i veri fascisti!

Ma Eastwood non è il solo. M. Night Shyamalan ha ucciso un critico nel suo film Lady in the Water. Il critico interpretato da Bob Balaban si chiamava Farber – così chiamato come il famoso critico Manny Farber. Il suo ruolo è quello di essere autoriflessivo, ossessionato dai problemi del film attuale e poi morire. È un tentativo? di essere intelligenti nel corso di un film stupido? Shyamalan non dimostra questo disprezzo dopo Il sesto senso o Unbreakable o Signs. È stato solo quando The Village ha ricevuto una recensione meno brillante che si è fatto prendere o da questo malanimo.

Più recentemente Alejandro Iñárritu ha incluso un critico in Birdman, recitato da Lindsay Duncan. Lei insiste sul suo ruolo di «gatekeeper», cioè di guardiana, che decide di distruggere Michael Keaton ancora prima di vedere il suo nuovo spettacolo teatrale. Alla fine, lei cambia idea e scrive una recensione positiva ma solo perché vede nel suo tentativo di suicidio un simbolo potente e il suo titolo – «L’imprevedibile virtù dell’ignoranza» – diventa anche parte del titolo del film. È ovvio che lei non ha avuto un vero ripensamento, ma ha letto nel suo atto qualcosa che non esiste…

Ma un critico che cambia idea è già un miglioramento. Infatti se chiedo ai miei amici critici con quale critico immaginario si identificano, quasi tutti rispondono Anton Ego di Ratatouille (nella versione inglese doppiato da Peter O’Toole). Il motivo è chiaro. Lui fa paura a tutti. Può far chiudere i ristoranti. È preso sul serio. In altre parole ha potere. Alla fine, l’incubo degli artisti è il sogno dei critici, ma entrambi sono falsi. E Anton cambia idea. Quando assaggia la ratatouille rivisita un momento della sua infanzia in cui ha scoperto il conforto e il bello di un buon piatto.

In tutti i nostri cuori c’è un motivo per cui siamo diventati dei critici e sospetto che lo stesso valga per i registi, gli attori e tutti coloro che lavorano nel e per il mondo del cinema: noi critici abbiamo una forte passione, un amore per il cinema. E qualche volta le passioni diventano turbolente; litighiamo, gridiamo. E questo non è un male. Dobbiamo discutere e non dobbiamo essere immuni dalla critica anche noi – ci mancherebbe altro. Servono sempre più punti di vista – come a Hollywood in generale – perché tutti noi alla fine quando le luci si spengono vogliamo vedere qualcosa di bello.