Va bene, dal 18 maggio decidete voi. Ma prima e dopo controlliamo noi. È la sostanza di quello che hanno detto ieri sera il presidente del Consiglio e i ministri Boccia e Speranza ai presidenti delle regioni, riuniti in video conferenza. Annunciato da giorni, è così arrivato il tanto atteso (dalle regioni) via libera alle aperture differenziate sui territori. Dalla prossima settimana. I «governatori» hanno da tempo fatto capire che sarà una specie di «liberi tutti», perché nessuno vorrà restare indietro. Servizio al banco a ai tavoli per bar, pasticcerie, ristoranti; parrucchieri ed estetisti; spiagge e impianti sportivi all’aperto riprenderanno le attività. Ma dovranno farlo sulla base delle «linee guida» elaborate dall’Inail e validate dal Comitato tecnico scientifico che assiste il governo. All’ingrosso sono già note, ma saranno varate ufficialmente entro venerdì. Prima, da oggi, le regioni dovranno far avere al governo una lista dettagliata di tutte le attività che intendono riaprire. E che il governo potrebbe richiudere.

CONTE E I MINISTRI hanno tenuto a chiarire ai presidenti di regione, infatti, che il monitoraggio sull’andamento dell’epidemia sarà costante. E soprattutto sarà centralizzato: Speranza ha messo ha punto un sistema di parametri che settimanalmente consentirà – se ce ne fosse bisogno – di far scattare l’allerta. Non c’è solo l’ormai famoso indice di trasmissione del virus, ma anche la disponibilità di posti in terapia intensiva, la capacità di fare test rapidi e altro ancora. Nel caso si dovessero segnalare situazioni di ripresa del pericolo, sarebbe il governo a ordinare le chiusure. Differenziate, anche queste, alle regioni.

I «GOVERNATORI» che nelle precedenti riunioni avevano avanzato la richiesta di rientrare nel pieno controllo delle decisioni, in realtà hanno accettato di buon grado questa soluzione intermedia. Ben felici di potersi presentare da subito come coloro che riaprono tutto. Ed eventualmente – nel caso sempre possibile di valutazioni discutibili o discusse sull’andamento dell’epidemia – trasferire a Roma la responsabilità del passo indietro. Nell’incontro di ieri, i ministri Boccia e Speranza hanno evidenziato soprattutto i rischi di una ripartenza nei bar, nei ristoranti e sulle spiagge. Meno problematiche le riaperture dei cosiddetti «servizi alla persona», cioè parrucchieri, barbieri e centri estetici. «Inizia la fase della responsabilità per le Regioni», ha detto il ministro per gli affari regionali durante il video collegamento. «È una sorta di anticipazione dell’autonomia», ha invece festeggiato il presidente leghista del Vento Zaia al termine della riunione.

L’attesa è adesso per le linee guida Inail-Cts, alcune regioni hanno preso l’iniziativa di prepararle in proprio e le hanno trasmesse all’Inail sperando in una validazione. Ma le regole saranno nazionali, del tipo di quelle che già si conoscono per i trasporti pubblici: protezioni individuali, igiene, distanziamento. Quest’ultimo rischia di essere un parametro molto pesante per le piccole attività, visto che nei documenti che già circolano si parla di almeno quattro metri tra un tavolo e l’altro. L’obbligo di mascherina sarà valido all’interno del locale ma ovviamente non al tavolo durante il pasto, le stoviglie dovrebbero essere preferibilmente monouso. Andare al ristorante rischia di diventare un’esperienza abbastanza scomoda, per la quale sarà consigliata la prenotazione. Obbligatoria invece per i centri estetici e i parrucchieri. Le linee guida dovrebbero essere conosciute ufficialmente subito dopo i primi dati sull’andamento della pandemia nella prima settimana della fase 2, dati attesi per giovedì.

Intanto, di fronte all’evidente mancanza di mascherine in vendita nelle farmacie italiane, tanto meno al prezzo calmierato di 50 centesimi più Iva promesso dal commissario straordinario Arcuri, ieri si è registrato uno scontro tra Federfarma e lo stesso Arcuri. Secondo i farmacisti la colpa della mancanza delle mascherine è del prezzo calmierato, troppo basso, che rende poco appetibile il mercato italiano: i distributori non riuscirebbero più a reperire la merce in Cina. Secondo Arcuri si tratta di «bugie e strumentalizzazioni» perché «chi oggi afferma di non avere mascherine e di aver bisogno delle forniture del commissario, fino a qualche settimana le aveva e le faceva pagare ben di più ai cittadini». La colpa sarebbe delle «due società che distribuiscono per Federfarma: avevano dichiarato il falso sostenendo di avere 12 milioni di mascherine nei magazzini»