Domenica prossima per i due turni delle elezioni delle 18 Regioni (13 nella Francia metropolitana, 5 nell’oltremare) e per i Dipartimenti. Un modo di scrutinio barocco, a due turni, proporzionale di lista per le regionali, binominale (un uomo e una donna) maggioritario per i Dipartimenti. La situazione è incerta, tra un po’ di euforia per l’uscita progressiva dal lockdown – da giovedì non c’è più l’obbligo delle mascherine all’aperto e stasera finisce il coprifuoco – tempestata però di violenze e repressione della polizia (nove ore di battaglia per sloggiare un rave party vicino a Nantes), e un clima politico sempre più isterico, che dei commentatori anglo-sassoni paragonano al periodo pre-Trump e alla campagna per il Brexit, per l’ultimo appuntamento elettorale a dieci mesi dalle presidenziali.

STANDO AI SONDAGGI, l’astensione sarà la grande vincitrice, è prevista tra il 59 e il 64%, il 63% dichiara “disinteresse” per questo appuntamento con le urne, che però i partiti tradizionali considerano un test per la futura corsa all’Eliseo: tre presidenti di Regione sono candidati in pectore per le presidenziali (Xavier Betrand nel nord, Valéry Pécresse nella regione parigina e Laurent Wauquiez nella regione di Lione).

La République en Marche (Lrem) anticipa già una sonora sconfitta: è un partito giovane, che non ha radici locali, mentre la figura del presidente Macron oscilla tra forme radicali di rigetto di metà dei cittadini e al tempo stesso dei consensi superiori ai suoi predecessori a dieci mesi dalle presidenziali.

Dal 2015, il numero delle Regioni è stato ridotto, da 27 alle attuali 18, ma non per questo l’organizzazione degli enti locali si è semplificata. La campagna ha sacrificato il piano locale, a favore di tematiche nazionali, come la sicurezza, che nulla hanno a che vedere con le competenze di Regioni e Dipartimenti (che si occupano di trasporti, edifici scolastici, assegni sociali).

 STASERA, TUTTI GLI SGUARDI saranno rivolti al risultato del Rassemblement national (Rn), che i sondaggi danno in testa in 6 regioni su 13 nella Francia metropolitana. Per Marine Le Pen è un test per preparare l’assalto all’Eliseo. Ma arrivare in testa oggi non vuol dire vincere domenica 27.

Il più grosso rischio è in Provenza-Alpi-Costa Azzurra, una regione conosciuta in tutto il mondo, dove un ex ministro di Sarkozy, l’ex Républicain (Lr) Thierry Mariani, passato all’estrema destra e sostenuto dal Rn, potrebbe sconfiggere il presidente uscente, Renaud Muselier (Lr), che si è alleato già al primo turno con Lrem. In altre due regioni, tra cui il Grande Est – nata dalla fusione di Alsazia, Lorena e Champagne – pesa la minaccia di una vittoria dell’estrema destra. L’arma del “fronte repubblicano”, utilizzata per impedire la vittoria dell’estrema destra, non funziona più: i partiti che non potranno presentarsi al secondo turno – lo sbarramento è al 10% – non sono disposti ad abbandonare per favorire un avversario che ha possibilità di battere il Rn.

Negli Hauts-de-France, dove corrono per Lrem ben 5 ministri, la sinistra non ha intenzione di abbandonare al secondo turno, facendo correre il rischio di sconfitta a Xavier Bertrand e una vittoria di Sébastien Chenu del Rn, che ha tra i collaboratori esponenti del movimento estremista ormai illegale Génération Identitaire.

Qui, la sinistra è eccezionalmente unita, socialisti, comunisti, France Insoumise (Fi) assieme dietro la testa di lista di Europa Ecologia (Ee), Karima Delli. Il prezzo nell’ultima tornata nel 2015 era stato troppo alto: per battere l’allora Fronte nazionale, il Ps e gli altri per sei anni non hanno avuto nessun consigliere e così l’opposizione è stata rappresentata solo dall’estrema destra, che ne ha approfittato per aumentare i consensi (la stessa configurazione aveva avuto luogo in Provenza).

Lrem, dopo aver constatato che «il fronte repubblicano è morto» (anche se ne avrà enormemente bisogno per Macron), propone «la fusione tecnica» per il secondo turno, non un abbandono ma una fusione delle liste.

LA SINISTRA, con la sola eccezione degli Hauts-de-France, parte quasi dappertutto disunita e con alleanze a geometria variabile, tra Ps, Pcf, Fi e Ee. Ha deciso di “contarsi” nella prospettiva delle prossime presidenziali.

Eppure, il Ps ha la presidenza uscente in 5 Regioni (Nouvelle Aquitaine, Occitanie, Bretagne, Centre, Bourgogne), ma è a rischio. Nell’Ile-de-France (qui Regione e Dipartimento coincidono), la sinistra governa Parigi e molte città della banlieue, ma la Regione è destinata a restare in mano a Lr. La campagna dei socialisti, soprattutto, è stata difficile, con molte polemiche attorno a prese di posizione della capolista, Audrey Pulvar, per esempio quando ha difeso le riunioni “non miste” (di persone “razializzate”), da cui la sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha preso le distanze.

DAL PUNTO DI VISTA economico, le Regioni francesi sono dei nani in Europa. Rhône-Alpes-Auvergne, per esempio, ricca come Lombardia o Baviera, ha un bilancio di 3,8 miliardi, contro i 26,2 miliardi della controparte italiana e 38,6 di quella tedesca.