Ha attraversato lo Stretto ma a Reggio Calabria non si è fermato. Ha proseguito per Milazzo, Augusta e Catania. E Nino Minicuci, il suo candidato sindaco, è rimasto solo. Matteo Salvini ha altri problemi a cui pensare in queste ore. Ma il fatto che alla vigilia del ballottaggio, dove la Lega potrebbe issare per la prima volta la sua bandiera dal pennone di una città metropolitana del sud, a Reggio non abbia messo piede, lascia perplessi. Potrebbe anche essere una mossa concordata. Un altro comizio di Salvini in riva allo Stretto avrebbe polarizzato il voto e reso ancor più ardua la scalata di Minicuci a Palazzo San Giorgio.

IN SUO AIUTO ARRIVANO, però, i camerati della rivolta del 1970. L’ex senatore Renato Meduri (prima Msi e poi An) e gli altri protagonisti dell’insurrezione dei «boia chi molla» (di cui ricorre il cinquantennale), tra gli altri Enzo Rogolino, Tonino Vacalebre, Pasquale Quartuccio invitano a votare Minicuci: «Difendiamo Reggio come abbiamo fatto 50 anni fa». E lo fanno proprio come negli anni ’70: «Gridiamo basta e urliamo il nostro motto storico che ci identifica in tutto il mondo, ’boia chi molla’ , basta con i nemici della nostra città. Minicuci sindaco è l’ultima possibilità di riscatto. Viva Reggio! Boia chi molla».

COME SI VEDE, nel ballottaggio di oggi a Reggio si gioca una partita anche storica tra la Reggio nera e la Reggio di sinistra dei Falcomatà, da Italo, il sindaco della primavera reggina degli anni ’90, al figlio Peppe, il sindaco uscente. Dopo il primo turno l’Anpi ha lanciato un appello ai due candidati. Ha chiesto la rigorosa applicazione della «delibera antifascista» (approvata dal consiglio comunale) che esclude la possibilità di utilizzare spazi e locali pubblici per chi non si riconosca nei valori della Costituzione. Falcomatà ha risposto e aderito all’invito, Minicuci lo ha respinto al mittente.

Falcomatà ha incassato il sostegno di Saverio Pazzano e delle sue liste di sinistra alternativa (6,8% al primo turno). Non un apparentamento formale ma un appoggio politico in funzione antileghista. E non a costo zero. Gli attivisti dei movimenti reggini chiedono un impegno concreto contro il Ponte sullo Stretto, il mantra salviniano in questa campagna. Decisivo sarà l’elettorato di Angela Marcianò, la pasionaria populista, l’ago della bilancia con il suo 14% al primo turno. Ma lei, ex renziana, già assessore di Falcomatà e ora folgorata sulla via del populismo di destra, non si schiera. Malgrado il corteggiamento di Minicuci ha preferito fermarsi un giro. Con Falcomatà il discorso non è neanche iniziato. Tra i due i rapporti sono burrascosi, persino con querele incrociate. I 5S non danno indicazione di voto. Ma il loro striminzito 2% incide poco. La partita è, dunque, aperta e molto incerta. Falcomatà ha compattato tutto il fronte antisovranista. Minicuci è un candidato debole in una coalizione forte ma attraversata da dissidi e personalismi.

Se a Reggio è una sfida anche con risvolti ideologici, 250 km più a nord si gioca una partita inedita, tutta a destra. Nella ex «Stalingrado del sud» la sinistra si è liquefatta. A Crotone le comunali si sono rivelate una Caporetto. La città un tempo considerata roccaforte inespugnabile, nella quale per trent’anni il Pci, che alle amministrative non scendeva mai al di sotto del 60%, eleggeva sindaci ma anche deputati e senatori, ora è terreno fertile per le peggiori destre. Si fronteggiano due coalizioni: da una parte la destra tradizionale (Forza Italia, Lega, FdI) in testa, ma non troppo, con Antonio Manica (Fi) al primo turno (42,5%), dall’altra un’alleanza di gruppi populisti, infarciti di rivoli dell’estrema destra e complottisti in ordine sparso. Due settimane fa un exploit per loro, con Enzo Voce al 37,5%.

I DEM IN RIVA allo Jonio sono invece fantasmi. Nel 2016 arrivarono al ballottaggio. Quest’anno non hanno avuto neanche la forza di presentare lista e simbolo. Segnando così la definitiva scomparsa della sinistra politica crotonese. I movimenti pitagorici hanno fatto appello al non voto, «contro le due destre, quella istituzionale e quella populista».