È un piccolissimo segnale politico che l’Italia lancia al regime di Al Sisi, anche se non è dato poter quantificare gli effetti e le ricadute reali. Ieri l’Aula del Senato, dopo un lungo e animato dibattito che ha lasciato su posizioni inconciliabili i due fronti del governo bipartisan, ha approvato il cosiddetto «emendamento Regeni» al decreto missioni che blocca la fornitura di pezzi di ricambio degli F16 all’Egitto. Originariamente presentata da Sel ma subito fatta propria dalla maggioranza, la correzione al testo del decreto che rifinanzia una ventina di missioni internazionali (portando per esempio da trecento a un migliaio circa i soldati italiani in missione a Mosul, Iraq) è stata approvata con 159 voti favorevoli (parte del Pd, M5S e Gruppo Misto), 55 contrari e 17 astenuti. Il governo, imbarazzato e diviso, non ha preso posizione, non ha risposto alle domande delle destre riguardo al volume delle forniture e alla periodicità degli invii, e si è rimesso alla decisione dell’Aula.

Finalmente un segnale, dunque, anche se lo stesso relatore del dl, il dem Gian Carlo Sangalli, si è affrettato a puntualizzare che «non si tratta di un atto di ostilità rispetto all’Egitto, che continua a essere un Paese nostro alleato e del quale riconosciamo anche il valore strategico in questo momento nella vicenda più complessa che riguarda la lotta al terrorismo; tuttavia riteniamo che il nostro Paese abbia titolo e diritto, come ha fatto quando ha richiamato l’ambasciatore a continuare a tenere sotto pressione l’opinione pubblica e anche l’Egitto su questa vicenda, affinché si possa arrivare a un importante chiarimento». Sangalli risponde così alle critiche sollevate dall’Ncd, da Fi e dalla Lega che non vorrebbero «penalizzare» l’alleato egiziano «in prima linea nella guerra contro Daesh».

Per il senatore di Si, Peppe De Critofaro, invece, «l’emendamento è giusto anche se non ci fosse mai stato un caso Regeni perché gli F16 vengono utilizzati dal regime di Al Sisi anche in operazioni di guerra non coperte dall’Onu, come gli attacchi alle milizie sciite – e dunque anti Isis – nello Yemen».

Ma ieri c’è stato anche chi, nel centrodestra, come il senatore Gal ed ex ministro della Difesa Mario Mauro, ha sollevato il dubbio che alcuni pezzi di ricambio prodotti da Finmeccanica per gli F16 fossero già stati consegnati all’Egitto. Cosa assolutamente plausibile, perché le commesse vengono inviate a più riprese, nell’arco dell’anno. E invece la replica del presidente della commissione Difesa Nicola Latorre, a suo dire «casualmente informato della cosa», è stata tanto netta quanto fumosa: «Le forniture non sono state consegnate, ma i pezzi di ricambio sono imballati nel porto di Taranto».

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«Lontana invece dall’essere calendarizzata, è la nostra mozione che chiede il blocco totale della cooperazione militare con l’Egitto – riferisce il deputato di Sel Giulio Marcon – presentata alla Camera due mesi fa, dopo l’appello lanciato da Roberto Saviano, Alice Rohrwacher, Stefano Benni, Andrea Segre e Valerio Mastandrea per primi, contro la dichiarazione congiunta firmata dalla ministra Pinotti e dal suo omologo egiziano, il Generale Sedki Sobhi».

D’altronde che gli affari militari con l’Egitto di Al Sisi proseguano molto bene lo si capisce dall’ultima relazione sul commercio degli armamenti presentata a verifica delle restrizioni imposte dalla legge 185/1990. Il business di pistole, carabine, lacrimogeni e armi leggere italiane vendute all’Egitto e utilizzate dalle forze di sicurezza per le operazioni di repressione è passato dai 32 milioni del 2014 ai 37 milioni di euro del 2015.