Giulio Regeni forse poteva essere salvato. La decisione di aspettare 5 giorni prima di rendere pubblica la sua scomparsa potrebbe essere stata fatale. Giulio non era un egiziano per cui, in caso di sparizione forzata, di solito si segue la prassi di aspettare senza allertare. Era uno straniero, italiano, e per questo la notizia della sua scomparsa probabilmente doveva essere resa nota subito non solo alle autorità egiziane, come è stato fatto, ma soprattutto ai media locali e stranieri, la sera stessa del 25 gennaio scorso.

La tortura atroce di uno straniero non si era mai verificata in maniera così drammatica negli ultimi quattro anni. E il caso di Giulio è un avvertimento preciso a chi è vicino a qualsiasi straniero che sparisce in Egitto e invita a non allertare media e autorità competenti ai massimi livelli sin da poche ore dopo la scomparsa. Questo silenzio che non coinvolge necessariamente responsabilità individuali o istituzioni, è però anch’essa imputabile al clima repressivo, di controllo e intimidazione che vive l’Egitto. È facile immaginare che la diffusione tempestiva della notizia avrebbe potuto mettere in pericolo le persone vicine a Giulio, alcune delle quali hanno lasciato il paese tra lunedì e martedì.

Fatto sta che se la telefonata del ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e le aperture dei media mainstream sul caso Regeni fossero arrivate qualche giorno prima, l’allerta, lanciata dalle autorità egiziane per dare un segno alle richieste italiane ai massimi livelli, forse avrebbe permesso di risalire a Giulio con qualche giorno di anticipo, come poi è avvenuto in occasione del il cadavere. Appena due giorni dopo la diffusione della notizia, il 31 gennaio, il corpo di Giulio è stato fatto ritrovare in un fosso in condizioni drammatiche.

Se la macchina della ricerca fosse stata avviata prima, forse il brillante dottorando sarebbe stato ritrovato ferito o in agonia ma non morto. L’autopsia italiana ha confermato che il decesso di Giulio è arrivato infatti cinque giorni dopo la sua scomparsa. Purtroppo non si può tornare indietro ma dobbiamo interrogarci su questo. È necessario quindi confutare la veridicità delle notizie circolate nelle ultime ore sui passi compiuti dal giovane dalla sua abitazione di Doqqi fino alla metro Mohammed Naguib a pochi passi da Meidan Bab el-Louk e piazza Tahrir, la sera della scomparsa. Una cosa è certa, Giulio è uscito di casa alle 20:00. I media egiziani, forse nell’ennesimo tentativo di depistaggio, dopo aver accreditato le piste di rapina, incidente stradale e ambienti gay, hanno rivelato che dai tabulati emergerebbe come Giulio non ha mai lasciato il quartiere di Doqqi.

Tra le 20:18 e le 20:23 il suo cellulare squillava senza risposta, poi alle 20:25 risultava spento, come confermato da uno dei suoi amici, il docente Gennaro Gervasio. Alle 22:30 è stato lui a dare l’allarme all’ambasciata. L’ambasciatore, Maurizio Massari, ha in seguito avvisato le autorità egiziane della sua scomparsa. Qui si apre un buco investigativo incredibile. Dal 25 al 31 gennaio, cioè fino al momento della telefonata di Gentiloni, le notizie su Giulio sono praticamente assenti. È probabile che proprio la lentezza con cui le autorità egiziane hanno attivato la macchina per risalire alle circostanze della scomparsa abbia finalmente spinto a rivelare a tutti l’inspiegabile assenza di Giulio Regeni con ogni probabilità quando però era ormai già deceduto.

Qui si aprono due interrogativi da chiarire. Il primo si riferisce alle informazioni di stampa che Giulio avesse preso parte a un assembramento e fosse in seguito stato arrestato, insieme ad altri dalla polizia, evenienza negata dalle autorità egiziane. Questa ricostruzione è stata smentita categoricamente dagli amici in Egitto che invece accreditano l’ipotesi di una sua casuale partecipazione ad uno sparuto assembramento. E proprio dopo le 20:25 qualcosa deve essere andato storto.

E da qui in poi Giulio ha ricevuto il trattamento di un egiziano qualsiasi e non di uno straniero: cosa davvero inquietante. A questo punto sarebbero intervenute le notizie che già l’Intelligence aveva raccolto per trasformare il fermo in camera di tortura o forse non è così. I ministeri degli Esteri e della Giustizia egiziani non stanno collaborando adeguatamente con il team italiano di inquirenti, presenti al Cairo. Le autorità egiziane negano che Giulio sia stato arrestato, non permettono di visionare i risultati dell’autopsia egiziana. Più in generale il regime di al-Sisi nega se stesso perché nessuno dei suoi accoliti ammette che ci siano prigionieri politici, torture e arresti di massa nel paese.

Ai margini della visita al Cairo del Segretario di Stato Usa, John Kerry, il ministero degli Esteri, Sameh Shoukry, ha accusato la stampa (italiana) di arrivare a conclusioni affrettate sulla scomparsa e uccisione di Giulio, senza avere conferme autorevoli. E poi l’attenzione delle autorità si è spostata sul Centro per i Diritti economici e sociali (Ecesr), accusato di diffondere «bugie» sui numeri delle migliaia di prigionieri politici e desaparecidos, presenti nel paese dopo il golpe militare del 3 luglio 2013.