Giulio Regeni era seguito e pedinato da mesi, attorno a lui la National security egiziana aveva tessuto una ragnatela mortale. Una volta rapito, venne torturato in più fasi, per giorni, e morì dopo terribili sofferenze per un ultimo colpo che gli ha spezzato l’osso del collo. In seguito, gli apparati egiziani hanno pianificato e attuato almeno quattro depistaggi, arrivando ad orchestrare l’omicidio di innocenti che dovevano fungere da capri espiatori.

A rimettere insieme tutte le tessere del sanguinario puzzle raccolte dagli inquirenti italiani che per anni hanno lavorato in solitudine sull’assassinio in Egitto del giovane ricercatore friulano, ritrovato morto il 3 febbraio 2016 sulla strada che collega Il Cairo ad Alessandria, nei pressi di una delle prigioni-lager dei servizi segreti egiziani, è stato ieri lo stesso pm romano che ha coordinato le indagini. Il sostituto Sergio Colaiocco, assieme al procuratore Michele Prestipino, ha ripercorso le fasi delle difficili indagini davanti ai membri dalla neo costituitasi commissione bicamerale d’inchiesta presieduta da Erasmo Palazzotto (Leu). Ed è questa la novità: per la prima volta gli inquirenti italiani ufficializzano in Parlamento i risultati delle loro indagini.

«INTORNO A GIULIO Regeni è stata stretta una ragnatela dalla National security egiziana già dall’ottobre 2016 – ha raccontato Colaiocco -. Una ragnatela in cui gli apparati si sono serviti delle persone più vicine a Giulio al Cairo tra cui il suo coinquilino avvocato, il sindacalista degli ambulanti e Noura Whaby, la sua amica che lo aiutava nelle traduzioni». I due magistrati della procura di Roma hanno poi riferito i particolari dell’autopsia eseguita a Roma dal professor Vittorio Fineschi: «L’esame autoptico svolto in Italia ha dimostrato che le torture sono avvenute a più riprese, tra il 25 gennaio e il 31 gennaio. L’esame della salma depone per una violenta azione su varie parti del corpo. I medici legali hanno riscontrato varie fratture e ferite compatibili con colpi sferrati con calci, pugni, bastoni e mazze. Giulio è morto, presumibilmente il 1 febbraio, per la rottura dell’osso del collo».

LA VERITÀ DUNQUE era già nota, rivelata da quel corpo martoriato. Ma le autorità di Al Sisi negarono l’evidenza fin dal primo istante: «Nell’immediatezza dei fatti sono stati fabbricati dei falsi per depistare le indagini – ha spiegato Colaiocco -. In primis l’autopsia svolta al Cairo che fa ritenere il decesso legato a traumi compatibili con un incidente stradale. Altro depistaggio – continua il magistrato – è stato quello di collegare la morte di Giulio ad un movente sessuale: Regeni viene fatto ritrovare nudo».

E ancora altri due tentativi di depistaggio: «Due giorni prima della nostra trasferta del 14 marzo del 2016, un ingegnere parla alla tv egiziana raccontando di avere visto Regeni litigare con una persona straniera non lontano dal consolato italiano e fissa alle 17 del 24 gennaio l’evento. È tuttavia emerso che il racconto è falso e ciò è dimostrato dal traffico telefonico dell’ingegnere che lo colloca a chilometri di distanza dal nostro consolato sia dal fatto che Giulio a quell’ora stava guardando un film su internet a casa». Quell’uomo ha poi ammesso di avere mentito su istruzioni di un ufficiale della Sicurezza nazionale che peraltro faceva parte del team investigativo congiunto italo egiziano. «Su questo episodio non ci risulta che la Procura del Cairo abbia mai incriminato nessuno», ha sottolineato il pm.

E infine l’ultima falsa pista costruita con «l’uccisione di cinque soggetti appartenenti ad una banda criminale morti nel corso di uno scontro a fuoco. Per gli inquirenti egiziani – conclude Colaiocco – erano stati loro gli autori dell’omicidio».

UNA PRIMA AUDIZIONE, quella di ieri della commissione d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, che ha in qualche modo rincuorato i genitori Paola e Claudio, che da quattro anni lavorano per ottenere verità e giustizia: «In questi anni abbiamo dovuto lottare contro violenze, depistaggi, omertà, prese in giro e tradimenti – hanno commentato -. Siamo grati ai nostri procuratori e alle squadre investigative per il lavoro instancabile svolto in sinergia con noi e la nostra legale. Oggi per la prima volta i nostri procuratori hanno potuto rendere pubblici gli sforzi e i risultati del loro lavoro, e da oggi chiunque in Egitto e in Italia sa che la nostra fiducia in loro è ben riposta». I coniugi Regeni hanno detto di confidare, a questo punto, «che la commissione d’inchiesta sappia sostenere con umiltà, rispetto e intelligenza il lavoro della nostra magistratura e della nostra legale».