Non mi ha convinto la scelta di reinviare l’ambasciatore al Cairo il 14 agosto. Non mi hanno convinto i tempi ne’ le motivazioni che l’hanno accompagnata. Non ho mai considerato un tabù il ristabilimento di ordinari rapporti diplomatici con l’Egitto, anche in una fase di stallo delle indagini che dura da oltre un anno con una sequenza insopportabile di verità di comodo inaccettabili forniteci dai partner egiziani. Chiesi il richiamo dell’ambasciatore per consultazioni il 16 marzo dello scorso anno in un Question Time alla Ministra Boschi, in un’aula vuota e distratta. Il Governo lo fece e lo apprezzai. Le cose possono cambiare, ma il tono con cui Alfano prima e Gentiloni poi hanno annunciato questa scelta mi e’ parso eccessivamente enfatico a fronte degli sviluppi davvero fragili dell’inchiesta. Come ha detto l’avvocato della Famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, ci troviamo davanti a cinque file in arabo trasmessi alla procura di Roma e un accordo bilaterale ( arrivato dopo un ping pong oggettivamente estenuante ) per consentire di visionare a una societa’ privata indipendente i video dei movimenti di Giulio in metropolitana. Nulla che possa richiamare a un’effettiva svolta, tant’e’ che lo stesso Pignatone parla prudentemente di “passi in avanti”. Siamo dunque ancora in altissimo mare con l’acquisizione di prove, mentre dal New York Times arriva un reportage che chiamerebbe in causa direttamente il Governo italiano che nn avrebbe dato peso a prove schiaccianti fornitegli direttamente dalla Amministrazione Obama. Circostanza smentita, ma che indubbiamente non contribuisce ne’ alla chiarezza ne’ ad allontanare tensioni. Una cosa e’ l’atarassia mostrata da Palazzo Chigi negli ultimi mesi sul caso Regeni, altra cosa sarebbe l’insabbiamento.

E allora perché tanta fretta? Diciamo la verità, il ristabilimento delle piene funzioni della nostra struttura diplomatica al Cairo ha più a che fare con Haftar che con Regeni. Ha a che fare con la necessita’ di riaprire un’interlocuzione con il generale che controlla buona parte della Libia e dipende direttamente dall’ orientamento della potenza regionale che ha più interesse su quell’area, precisamente l’Egitto. E, consentitemi, le strategie energetiche dell’Eni. Ma questo ha a che fare con la geopolitica, non con la barbara uccisione di un giovane non ancora trentenne. Nessun moralismo, perche’ parte rilevante della politica estera e’ comunque mossa da interessi che talvolta rischiano di entrare in contraddizione con la volontà dei cittadini. Ma se e’ così, meglio dirlo all’opinione pubblica per come e’: non reggevamo per troppo tempo il “grande freddo” con l’Egitto e abbiamo dovuto accelerare il rientro. La trasparenza conta almeno quanto la ragion di stato. La trasparenza e’ un bene pubblico non negoziabile. Per questo penso che, dopo l’invio dell’ambasciatore il governo e la maggioranza che lo sostiene, non possano più negare il via libera alla commissione di inchiesta monocamerale sul caso Regeni. Sono otto mesi che in Commissione esteri viene bloccata, nonostante sia stata calendarizzata da tempo in Conferenza dei Capigruppo. Sono 5 articoli, sarebbe composta da 20 deputati e costerebbe 50000 euro alla Camera dei Deputati con una durata di sei mesi, il tempo che resta alla XVII legislatura. Si approva in aula in mezza giornata e avrebbe un valore politico oltre che concreto ( i commissari avrebbero poteri di indagine analoghi alla magistratura ) enorme. Significherebbe che non molliamo la presa, che non chiudiamo questa pagina vergognosa con un’alzata di spalle, che coinvolgiamo tutte le articolazioni della Repubblica, compreso il Parlamento, nella ricerca della verità.
*Deputato di Articolo 1- Mdp