Le domande poste dalle deputate sugli sviluppi del caso Regeni e sulle sorti dell’avvocato egiziano Ibrahim Metwaly, consulente della famiglia di Giulio ancora in carcere al Cairo dal 10 settembre scorso, erano molto precise. Ma le risposte che il ministro degli Esteri Alfano ha dato a Pia Locatelli (Gruppo Misto) e a Lia Quartapelle e Sandra Zampa (Pd) durante il question time alla Camera non differiscono molto dal mantra degli ultimi mesi.

Al netto delle solite rassicurazioni («Non ci fermeremo se non davanti alla verità»), di significativo c’è solo la conferma che i pm romani non hanno ancora ottenuto dal procuratore egiziano Sadek tutti i documenti richiesti, malgrado i comunicati congiunti che hanno accompagnato il rinvio dell’ambasciatore Cantini al Cairo.

Alfano ha ammesso con nonchalance di aver «ribadito» – martedì in una telefonata con il suo omologo egiziano Shukry, «che conto di risentire nelle prossime ore», – l’invito a «fare quanto in suo potere per soddisfare le richieste della procura di Roma». Il titolare della Farnesina ha anche riferito di aver già avvisato il ministro di Al Sisi della grande attenzione riservata «dal governo, dal parlamento e dall’opinione pubblica italiana» alle sorti dell’avvocato Metwaly, arrestato mentre si recava a Ginevra per parlare di sparizioni forzate in Egitto e del caso Regeni (la custodia cautelare con l’accusa di spionaggio che avrebbe dovuto scadere oggi sarebbe stata di nuovo prolungata).

Nessuna risposta neppure sulla fumosa «figura tecnica» che avrebbe dovuto affiancare l’ambasciatore Cantini per supportare le richieste dei pm romani e che non è ancora stata istituita. Più facile invece parlare delle «iniziative diplomatiche congiunte» richieste al Segretario di Stato britannico Boris Johnson «per favorire l’accertamento della verità riguardo la morte sì di un cittadino italiano, ma anche ricercatore di Cambridge».

Silenzio assoluto infine sulla questione posta dalla socialista Pia Locatelli che riferisce di attivisti egiziani dei diritti umani giunti a Roma nel maggio scorso per partecipare ad una riunione di Euromed Rights, «un’autorevole rete di 70 organizzazioni dell’area euro-mediterranea», che hanno denunciato di essere stati seguiti spiati e fotografati. «Erano talmente impauriti che non hanno voluto neppure incontrarci alla Camera per non lasciare i loro nomi», racconta al manifesto.

Sui giornali egiziani, secondo quanto riferito da Locatelli, sarebbero poi apparsi articoli con i volti e i nomi degli attivisti accusati di aver partecipato a un incontro teso a «pianificare uno stato di caos e di instabilità in Egitto, prima delle elezioni presidenziali». Data la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, chiede giustamente Locatelli, «che valutazioni dà il governo italiano di questi episodi?». Siamo tutti in attesa di risposta.