«Ho letto le parole del ministro del Lavoro egiziano Mohamed Saafan, secondo il quale l’omicidio di Giulio Regeni è stato un “omicidio ordinario, che sarebbe potuto accadere in qualsiasi Stato o a qualsiasi altra persona”. Queste affermazioni sono un’offesa all’intelligenza e alla dignità dell’intero popolo italiano». Il presidente della Camera Roberto Fico si accontenta della bacheca di Fb per condannare la dichiarazione di un ministro di Al Sisi, pronunciata in un’assise internazionale quale è la Conferenza del lavoro di Ginevra, che a ben guardare è la conferma di quanto denunciato ancora ieri dai genitori del ricercatore italiano torturato e ucciso in Egitto.

La famiglia Regeni infatti ha chiesto, tramite il loro avvocato Alessandra Ballerini e dalle colonne di Repubblica, «l’immediato ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo» come segno che l’Italia non è più disposta ad accettare false promesse di collaborazione giudiziaria, coniugate con vere persecuzioni, intimidazioni e minacce nei confronti degli avvocati e dei collaboratori egiziani di cui si avvalgono Paola e Claudio Regeni. Arresti, interrogatori e sparizioni hanno colpito anche i membri della ong egiziana Ecrf che si occupa di diritti umani e che sta lavorando per fare luce su quanto accaduto al giovane friulano tra il 25 gennaio, giorno in cui sparì, e il 3 febbraio 2016, quando venne ritrovato morto.

Il presidente della Camera, Roberto Fico

Ma proprio mentre il 5Stelle Fico sollecitava «tutte le istituzioni, a tutti i livelli e in ogni sede» a intervenire «con decisione» dopo queste parole, e annunciava che la questione sarà «tra i temi al centro della riunione congiunta tra le commissioni Affari esteri della Camera e del Bundestag tedesco di lunedì a Berlino», dalla facciata del palazzo della Regione Fvg (a guida leghista) è stato rimosso lo striscione giallo di Amnesty «Verità per Giulio Regeni» esposto fin dal 2016 dall’allora governatrice Serracchiani.

Alle critiche che ne sono seguite, il presidente della Regione Fvg Massimiliano Fedriga ha risposto in serata: «Comunico che lo striscione non verrà più esposto né a Trieste né in altre sedi di Regione». Spiegazioni, il governatore leghista non ne dà se non aggiungere, a sua difesa: «Non ho fatto rimuovere lo striscione per più di un anno per non portare nell’agone politico la morte di un ragazzo». Che sia una sorta di ripicca alle «pretestuose provocazioni» arrivate, dunque?

Di certo, è un po’ più difficile ora, per Fico,  andare a chiedere solidarietà al presidente del Bundestag, Schäuble, con la porta chiusa in faccia dal proprio alleato di governo.