Sono trascorsi lunghi sei mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni, brutalmente torturato e ammazzato in Egitto. E sulla vicenda è piombato drammatico, pesante, doloroso, colpevole il silenzio. Siamo abituati oramai a masticare tutto, a dimenticare rapidamente tutto quello che accade travolti da un’altra tragedia che prende il posto della precedente nell’agenda pubblica.

Il silenzio è un’arma letale in storie come queste. Il silenzio è sempre qualcosa che sta dalla parte dei carnefici, mai dalla parte delle vittime. Il silenzio fa male. Il silenzio è la pietra tombale nella ricerca della verità. Il silenzio è l’anticamera dell’impunità.

Da mesi c’è silenzio da parte delle autorità italiane. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella più o meno tre mesi fa aveva affermato che «non vogliamo e non possiamo dimenticare la sua passione e la sua vita orribilmente spezzata. Fare memoria è un atto di pace». Non c’è pace senza giustizia.

Non è un caso che una delle organizzazioni radicali che più si sono impegnate nella campagna per la giustizia internazionale e per la nascita di una Corte penale internazionale si chiami per l’appunto ‘Non c’è pace senza giustizia’. Non può esservi pace senza una prospettiva di giustizia. La memoria serve a restituire giustizia. La giustizia è una delle gambe della pace, quella positiva e non quella transitoria che è l’assenza temporanea di guerra. Il diritto alla pace è un diritto dei popoli, ma è anche un diritto degli individui.

Dunque il silenzio pesa sulla giustizia e non fa presagire nulla di buono sulle prospettive di pace. Il silenzio sulle torture e sull’assassinio di Giulio Regeni è un attentato alla giustizia e alla pace. Giustizia, democrazia, diritti umani e pace sono intimamente connessi. L’oblio, nel caso di Giulio Regeni, potrebbe essere una soluzione di comodo a portata di mano per chi a livello istituzionale è imbarazzato nell’esercitare pressione nei confronti delle autorità egiziane.

Chiunque si occupi di diritti umani sa che in casi come questo bisogna essere tenaci, determinati. L’oblio porta alla rimozione. La memoria porta alla giustizia. Non sarà oggi, non sarà domani, ma un giorno la conservazione della memoria potrebbe condurre alla verità. Così è accaduto nelle tante storie degli scomparsi e torturati nelle dittature latino-americane.

La lotta per la memoria dei familiari delle vittime ha poi portato per taluni di loro a coltivare una chance di giustizia. Una giustizia lenta, giunta a democrazia conquistata, ma benedetta e parzialmente riparatrice.

Per questo non va abbassato lo sguardo e per questo va con ostinazione chiesta giustizia e verità per Giulio Regeni. Perché altrimenti forte è la tentazione istituzionale di far prevalere ragioni di presunta realpolitik. La forza internazionale del nostro Paese va invece proprio misurata nella sua capacità di non dimenticare Giulio Regeni, nel combattere a fianco dei genitori alla ricerca della verità. Giulio Regeni è stato torturato.

Le autorità egiziane si sono palesemente e sfrontatamente opposte alla collaborazione con gli inquirenti italiani. Da troppo tempo non sentiamo le nostre istituzioni – con l’eccezione del senatore Manconi, presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato – alitare addosso a quelle egiziane.

Per questo ancora una volta la società civile italiana – Amnesty International, Antigone, Cild insieme ad A Buon Diritto, Arci, Articolo 21, Cittadinanzattiva, Fnsi, Iran Human Rights Italia, Italians for Darfur, LasciateCIEntrare, Ordine dei Giornalisti del Lazio, Premio Roberto Morrione, Un Ponte per, Usigrai, il Manifesto – ha deciso ieri sera in piazza a Roma di far sentire la propria voce contro il silenzio e per la giustizia nella consapevolezza che giustizia significa democrazia, diritti umani e pace.

*L’autore è presidente di Antigone e Cild