«Documentazione incompleta, non soddisfacente e non corrispondente al materiale garantito». Non è una dichiarazione ufficiale ma non lasciano spazio ad ottimismi, gli umori che si registrano a fine giornata tra gli inquirenti italiani che hanno preso parte alla prima tranche del vertice con la delegazione di investigatori egiziani. Cinque ore di faccia a faccia, dalle 10 del mattino alle tre del pomeriggio di ieri, nella Scuola superiore di polizia di via Guido Reni, a Roma.

Non una parola ufficiale, perché la due giorni programmata per fare il punto delle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni non è libera dalla zavorra diplomatica e politica. Non a caso, «una fonte giudiziaria» cairota ha lasciato trapelare sul quotidiano filogovernativo Al Masry Al Youm la «probabilità che qualche componente della delegazione egiziana incontri la famiglia di Giulio Regeni per presentare condoglianze e rispondere a tutte le domande che essi desiderino porre». I genitori della vittima, però – secondo quanto riferito dal loro legale, Alessandra Ballerini – «non sono stati in alcun modo contattati, per un incontro, dagli inquirenti egiziani in questi giorni in Italia».

E invece, dal punto di vista prettamente investigativo, il vertice romano potrebbe non aver superato la prova richiesta dal ministro Gentiloni che aveva auspicato un «cambio di marcia» nella disponibilità alla reale collaborazione da parte del regime di Al Sisi. Sembra infatti che siano confermate le indiscrezioni anticipate dal sito dello stesso Al Youm, secondo il quale nel corposo dossier di due o tre mila pagine (quasi tutte in arabo) che il team egiziano ha portato con sé mancherebbero almeno due delle cinque richieste formulate da tempo dalla procura di Roma. Le più importanti, quelle ritenute dai magistrati romani indispensabili per la ricerca della verità: i tabulati delle celle telefoniche e i video delle telecamere di sorveglianza di metropolitane e negozi del quartiere nel quale Giulio è sparito il 25 gennaio scorso e della zona dove il suo corpo è stato ritrovato il 3 febbraio. Oltre alle spiegazioni sul ritrovamento insolito dei suoi documenti, custoditi per due mesi, evidentemente, nelle stesse mani di chi li ha fatti rinvenire due mesi dopo. Per esserne certi, però, bisognerà attendere il pomeriggio di oggi quando, al termine dei lavori che riprenderanno questa mattina, dovrebbe essere divulgato un comunicato, annunciato come «congiunto».

Di sicuro, ieri mattina il procuratore capo Giuseppe Pignatone, il pm Sergio Colaiocco, il comandante del Ros Carabinieri, generale Giuseppe Governale e il direttore dello Sco Polizia, Renato Cortese hanno riferito ai colleghi i dettagli dell’analisi del computer di Giulio (consegnato agli italiani dalla famiglia Regeni) e illustrato il referto dell’esame autoptico romano – dal quale emergono particolari che l’autopsia egiziana non aveva rivelato – insieme al professor Vittorio Fineschi che lo ha eseguito. Dall’altra parte sarebbero arrivati innanzitutto gli aggiornamenti delle indagini svolte dopo il 14 marzo, giorno della trasferta degli italiani al Cairo. Con particolare riguardo – e cinque ore sembrano perfino poche – alla falsa pista della banda di rapinatori accreditata dal ministro dell’Interno Ghaffar e ai documenti di Regeni riapparsi, chissà come, in uno dei covi dei criminali indicati come responsabili dell’omicidio di Giulio ma uccisi dalla polizia cairota.

Non sarà stato facile, per la delegazione egiziana composta da due magistrati (il procuratore generale aggiunto Mostafa Soliman e il suo segretario Mohamed Hamdy El Sayed) e da quattro militari (il responsabile della sicurezza nazionale Adel Gaffar, il vicedirettore della polizia criminale del Cairo Mostafa Meabed, l’ufficiale della polizia centrale Ahmed Aziz, e il vicedirettore della polizia di Giza, Alaa Azmi, la cui presenza, inizialmente non prevista, è molto importate perché è fa parte dello staff del generale Khaled Shalaby, colui che da subito tentò di depistare le indagini ed è indicato dall’ex generale Omar Afifi, oppositore di Al Sisi, come il mandante dell’omicidio Regeni). Secondo alcuni media egiziani il dossier conterrebbe addirittura «prove materiali» che «determinano nel dettaglio la maniera in cui è stato perpetrato il crimine senza però poter giungere al criminale». In ogni caso, invece, secondo Al Masry Al Youm la delegazione egiziana avrebbe ribadito che le indagini, da parte loro, non sono ancora concluse.

D’altronde, il rompicapo è di difficile soluzione. Scriveva ieri il quotidiano arabo edito a Londra Al Quds in un editoriale: «L’unico scenario che resta al governo del Cairo per scagionare le più alte autorità è attribuire tutta la responsabilità dell’omicidio di Giulio Regeni al generale Khaled Shalabi».